Padovano di nascita, Alberto Marcomini ostenta con semplicità la sua grande passione per il formaggio. Ne conosce i segreti, le forme, i metodi di produzione, il momento per la giusta rottura di cagliata e i sistemi di taglio. Con Marcomini dire esperto è poco. Per questo ha meritato a Parigi, nel 1990, il titolo di Maître fromager de France dalla “Confrèrie des Chevaliers du Taste-Fromage de France”. Divenne così noto nell’ambiente del Gusto che nel 1999 il “Gambero rosso” gli dedicò la copertina: «E da lì c’è stata un’ascesa abbastanza veloce e anche complicata» sottolinea Alberto - Sono da oltre 25 anni con le mani e il naso nel formaggio. Sono sempre più intransigente; si tratterà allora di provocare, di far polemica, ma altrettanto spesso di far capire problematiche che spesso sfuggono totalmente: come la troppo “comoda” pastorizzazione del latte, che cancella i problemi di igiene, ma, nello stesso tempo anche tutti i profumi e i sapori caratteristici del latte e quindi dei formaggi, oppure i problemi legati alla gestione, non solo economica, di una malga d’alta montagna o di un piccolo caseificio artigianale, oppure, ancora, di come a un marchio europeo di qualità possa non sempre corrispondere la qualità stessa. E via di questo passo, tra assaggi incrociati, abbinamenti corretti o tortuosi, conveniente utilizzo in cucina o semplice servizio dei formaggi».
Qual è il grado di competenza dei ristoratori italiani in tema di formaggi?
«I ristoratori italiani sapienti, intelligenti, prediligono molto i formaggi del loro territorio e ci sono molti ristoratori che si vanno a prendere il formaggio appena fatto. Però, c’è ancora poca conoscenza sul come usare il formaggio, come aprirlo, come mantenerlo, ma la ristorazione è più avanti di un negozio al dettaglio».
Il formaggio nella ristorazione un vincolo o un’opportunità?
«È un’opportunità perché una volta il formaggio era inteso come un riempimento di un piatto, ora è un piatto importante da servire, siamo stufi del primo, secondo e formaggio. Invece il formaggio prende sempre di più il posto dell’aperitivo come i formaggi di capra, con un olio leggero, con la frutta, con le verdure. Se vado in un ristorante e non ho voglia di pesce e carne e se mi propongono un buon formaggio alla temperatura giusta che non sappia di ammoniaca (spesso accade con formaggi a crosta fiorita sovramaturati), con un buon pane, allora sì che il formaggio viene esaltato».
Quali regole da rispettare, un consiglio, per servire al meglio il formaggio nella ristorazione.
«Servirlo sempre a temperatura ambiente, conservarlo in un panno pulito umido messo nella parte più calda del frigo e prima di servirlo tirarlo fuori un paio di ore prima, lasciargli il suo panno umido e tagliarlo al momento. Per formaggi come gorgonzola va bene un coltello a lama finissima, o sottile, il filo è una consuetudine in Francia, sempre, evitiamo coltelli con seghe particolari. Ho tagliato milioni di forme di formaggio con un coltello solo. Taglio giusto dal più soft al più stagionato. Accompagnarlo come se fosse una frutta senza zucchero, quindi senza sciroppi, confetture e zucchero.»
I formaggi li abbiniamo al vino, alla birra o…
«Vino per formaggi a pasta bianca, vino bianco, più stagionati più rossi non corposi, poi rossi corposi, vini passiti ok con formaggi molto stagionati, qualche distillato di frutta che non superi i 35° di alcol. La birra va benissimo, a doppia fermentazione con i formaggi a crosta lavata. L’abbinamento è un gioco dei propri gusti. Il segreto sta nell’abbinare sempre quello che è di stagione. Un purè di cachi ad esempio sta bene in autunno, e l’altra figata è il formaggio del territorio con il vino del territorio. Molti fanno Bufala e Champagne , una figata, ma con l’Asprinio di Aversa è meglio, è un vino che i contadini abbinavano quando non c’erano i trasporti, quello è il frutto del territorio, così incrementiamo anche il turismo del formaggio, pensiamo a un Caciocavallo podolico con un Aglianico e una mela annurca. Pere Martins secche, del Piemonte, magari quelle messe con il vino dentro i vasi, allora lì ci metteremo un buon Castelmagno da assaggiare anche con un Barolo chinato. Dobbiamo dare spunto al territorio diamo la possibilità agli artigiani di lavorare. A Barolo vado a mangiare i formaggi di quel territorio, non quelli di chissà dove. In Puglia non ordino un Santa Maddalena (Doc di Bolzano), ma un Rosato del Salento. Col Rosato i formaggi non stagionati, un Pecorino in Primavera, un Formaggio di capra non troppo stagionato, ma non troppo fresco, anche i Bocconcini, la Burrata.»
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