04 Giugno 2012

Intervista a Franco Tucci


Italgrob.it intervista FRANCO TUCCI, Dir. Commerciale di Bevande Spa di Roma e membro del Consiglio di Amministrazione di Beverage Network e nel direttivo della Federazione nazionale. 


Franco-Tucci.jpgD. Allora Tucci cominciamo con i grandi numeri: i grossisti di bevande, una  ventina di anni fa erano 8000, oggi grossomodo se ne contano 1800, insomma una riduzione drastica: secondo lei il trend si è esaurito o la categoria dei grossisti bevande è destinato all’estinzione?

R. «Nessuna estinzione per carità. E’ vero, siamo in numero inferiore a qualche decennio fa anche perché da allora è cambiato il mondo, ma non temo l’estinzione, anzi devo dire che negli ultimi anni vedo una certa inversione di tendenza».

D. In che senso?

R. «Noto per esempio che ex collaboratori delle aziende grossiste aprono depositi per proprio conto, così come ho registrato il ritorno in campo di quei grossisti che un tempo avevano ceduto le loro attività ai network birrai. Va inoltre sottolineato la trasformazione in atto nel settore ingrosso, nel quale, per esempio, dolciario e food puntano ad arricchire i loro assortimento con le bevande, viceversa tentano di fare i colleghi del beverage.

Quindi più che un’estinzione direi che si è avviato un processo di trasformazione che risponde alle mutate condizioni socio economiche del mercato. Un mutamento che sicuramente vale la pena analizzare e monitorare».

D. Parliamo di Consorzi: nati circa trent’anni fa per controbattere le centrali d’acquisto della GDO, bisogna ammettere che, da questo punto di vista, la battaglia è stata persa, considerando il gap di prezzo che attualmente vi è fra i due canali. Ma al di là di questa problematica, sulla quale torneremo dopo,  secondo lei i consorzi attuali rispondono alle esigenze dell’ingrosso e che  prospettive hanno queste compagini per il prossimo futuro?

R. «I consorzi potranno avere un ruolo e un compito se sapranno evolversi da centrali di acquisto a centri di fornitura di servizi evoluti ai propri Soci: formazione, consulenza, attività di marketing e di comunicazione professionale. Avranno un futuro se impareranno a leggere il territorio sul quale operano i propri soci; se sapranno gestire questi territori e i mercati a loro correlati e se riusciranno a mettere in campo quelle politiche su misura dei propri soci. Inoltre, un consorzio moderno e proiettato nel futuro deve poi essere capace di fornire “informazioni” in modo puntuale e professionale: informazioni verso l’industria e verso la base sociale».

D. Cosa intende per informazioni?

R. «Dati di vendita per cominciare, ma anche analisi sui gusti e preferenze dei clienti, particolari loro esigenze, mode e tendenze dei locali, umori e desideri degli avventori. Non dimentichiamo che il grossista è un uomo da marciapiede, nel senso più positivo del termine, e questo aspetto, apparentemente denigrante è, in realtà, una straordinaria opportunità che gli consente di  “leggere” il mercato e ricavare preziose informazioni che dovranno essere sistematicamente convogliate verso la sede centrale. E tornando al concetto di “servizio”, l’informazione altro non è che il prodotto in assoluto a più alto contenuto di servizio».

D. Ci sono dei consorzi italiani che sono più avanti in questo processo? Quali sono?

R. «Preferisco non rispondere direttamente a questa domanda: certo ci sono consorzi che possiamo definire più evoluti, altri forse lo sono meno, ma non è il caso di fare classifiche né assegnare voti. Quello che auspico e che tutti i consorzi italiani e i loro dirigenti possano mettere in campo i progetti più innovativi e pertinenti alle condizioni del mercato ove operano. Soprattutto auspico una maggiore e più fattiva collaborazione fra tutti i consorzi italiani, presupposto indispensabile affinché l’intera categoria possa affrontare al meglio le difficili sfide che il futuro riserva».

D. Altro problema, il credito: come si risolve?

R. «Le ricette non sono tante e corro il rischio di ripetere cose già dette da altri più preparati di me: anzitutto bisogna avere la forza e il coraggio di tagliare quei clienti non solvibili: è inutile continuare a farsi del male. Poi applicare rigorose procedure di concessione del credito a quei clienti che, seppur buoni, hanno difficoltà a pagare. Insomma dobbiamo imparare a gestire questo problema, anche perché, lanciando una provocazione dico che non possiamo permetterci di vendere solo a quei clienti che pagano cash».


D. Perché non ce lo si può permettere?

R. «Farsi pagare alla consegna può sembrare un vantaggio, ma forse a ben vedere non lo è.

Nella fase di mercato attuale già lavoriamo con margini ridotti per sostenere i fatturati, se a ciò aggiungiamo che, nel vendere a quei clienti che pagano cash dobbiamo riconoscere (giustamente) ulteriori sconti che regolarmente ottengono, a questo punto i margini si assottigliano a tal punto da rendere non profittevole la vendita. Il grossista ha anche bisogno della clientela che dilaziona il pagamento, sia perché ottiene maggiori volumi di vendita e sia perché può ovviamente guadagnarci di più. Ma deve imparare a gestire fidi e concessione con molto rigore e fermezza».

D. Lei prima parlava di margini, sono davvero così ridotti?

R. «Purtroppo si».

D. Le Ragioni?

R. «E’ sempre più accesa la concorrenza fra canali e la concorrenza tra distributori. A ciò aggiungiamo i notevolissimi aumenti dei costi generali, ad esempio della logistica ( basta vedere quanto è aumentato il carburante nel corso degli ultimi 12 mesi) e del crescente costo del personale e del commerciale».

D. Pare sia in atto una commistione fra canale; registriamo infatti che Metro fa anche consegne mentre altre catene di C&C cominciano a concedere credito e dilazione. Questa evoluzione non rischia di far smarrire l’identità del grossista tradizionale?

R. «Il rischio c’è, ma se sapremo puntare sui servizi evoluti potremmo mantenere ruolo, identità e business. Ripeto il nostro futuro è nel contenuto di servizio evoluto».

D. Esiste una dimensione ideale affinché il grossista possa competere oggi?

R. «No, non esiste una dimensione ideale, tutto è funzionale al territorio nel quale si opera e allo specifico target al quale si rivolge la propria offerta. Ogni dimensione deve essere quindi rapportata a queste variabili, poi, è chiaro, occorre competenza, professionalità, impegno, dedizione e una grande voglia di innovare».

D. Tocchiamo l’annosa questione delle differenze di listino fra il canale moderno e quello tradizionale. Alcune industrie, quando accusate di fare due pesi e due misure, si difendono dicendo che non vi sono differenze perché, se alle centrali di acquisto della GDO offrono più sconti, nel canale tradizionale invece concedendo uomini (promoter e agenti) e materiali di servizio. Alla fine della storia, a loro parere, i conti stanno pari e patta. Ma secondo lei le cose stanno così?

R. «Non stanno per nulla così, le differenza di prezzo ci sono, e sono evidenti. La tesi di una certa industria è indifendibile, perché dovrei io grossista sostenere i costi dei loro promoter quando poi lo stesso cliente acquista indifferentemente anche nel Cash? A prezzi più bassi, ovviamente. I promoter “promuovono” il prodotto non il distributore! Ci vorrebbe maggior chiarezza e maggiore coerenza e si avverte sempre più il bisogno di un codice etico che regolamenti il canale».

D. Cosa intende per codice etico?

R. «Lo dicevo prima, correttezza, coerenza e diciamo pari opportunità. Tempo fa in occasione di un incontro con l’amministratore delegato di una multinazionale presente sul nostro mercato, ho avuto modo di fare una domanda che ha messo a nudo quell’eticità di cui ha bisogno il nostro mondo».

D. «Sarebbe, questa domanda?».

R. «Sappiamo che alcune multinazionali per darsi una veste etica sono sempre più avvezze a lanciare campagne sul bere responsabile, cosa che nello specifico condivido pienamente. Ebbene la mia domanda (provocazione) è stata: “Voi che invitate a bere in modo responsabile, perché non vi impegnate a vendere anche in modo responsabile?».

D. Concludiamo parlando di codice etico, chi dovrebbe occuparsi di stilarlo?

R. «Direi che la Federazione Italgrob è il soggetto più indicato per avviare e stimolare questo processo, un obiettivo sul quale, il consiglio direttivo di cui ho l’onore di far parte, sta già lavorando. Ma questo processo riguarderà inevitabilmente i consorzi, i quali dovranno farsi carico di progettarlo assieme ad Italgrob, di approvarlo e darne attuazione coinvolgendo i loro soci. Un ruolo altrettanto importante spetterà all’industria del beverage che sarà partner del progetto. Il futuro dell’horeca, e della nostra categoria, passa anche attraverso regole e principi condivisi, oggi non ci può essere un mercato sano senza eticità».

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