18 Aprile 2013

La telefonata a... Michele Avena


La F.lli Avena Snc di Potenza, associata Di.Al., è un’azienda storica: tutto comincia nel 1926 con (incredibile ma vero) le caramelle, alle quali negli anni successivi si affianca la produzione di liquori di qualità e bibite (gassose, aranciate ecc). In seguito l’azienda ha ampliato la sua attività anche alla distribuzione di bevande. Nel 1968, dismessa la produzione delle caramelle, l’azienda si specializza sempre più nella produzione di bibite gassate e allo stesso tempo dà maggiore impulso alle attività di distribuzione  a favore dei più importanti brand del beverage.

Oggi l’azienda è gestita da Michele e Anna, figli dei fondatori. Intervistiamo Michele Avena il quale, fra gli altri compiti, è anche consigliere Italgrob.

michele-avena.jpgSig. Avena, lei è uno dei pochi in Italia che, non solo produce ottime bibite, a quanto abbiamo appurato, ma distribuisce anche tanto altro beverage. Produttore e distributore nello stesso tempo, ma scusi la domanda, non le pare di incarnare un conflitto di interessi?

«Detto così parrebbe di sì, ma non c’è alcun conflitto, anzi, facendo ambedue le cose riesco e comprendere a pieno le diverse le problematiche che investono queste due professioni, ciò mi permette di creare sinergie oltre ad interloquire con più cognizione con i produttori di beverage che distribuisco».

Quindi, nessun conflitto?

«Nessunissimo, del resto la mia è una produzione prettamente artigianale la cui diffusione è circoscritta al territorio nel quale opero, non faccio certo la concorrenza alle multinazionali delle bevande gassate, ci mancherebbe altro».

Ma guadagna di più come produttore o come distributore?

«Devo dire che le attività produttive mi consentono una migliore redditività, oggi nella distribuzione, e immagino di non dire nulla di nuovo, i margini sono ridotti all’osso».

Se l`appellano come "gazzosaro" non si offende?

«No, non mi offendo, le gazzose le faccio da sempre e sono orgoglioso di farle. Però, se in quel termine ci volete leggere qualcosa di dispregiativo, allora non ci sto. Non ci sto perché questa categoria, che un tempo contava migliaia e migliaia di operatori, intorno agli anni `60 ha contribuito non poco, con il suo lavoro e il suo impegno, a creare il mercato Horeca che oggi conosciamo. Un lavoro pioneristico, instancabile, del quale va dato merito e non ripagato con considerazioni gratuite.

Per voi distributori, ieri rispetto a oggi, cosa è cambiato?

«Tutto. La situazione gestionele è completamente mutata: i costi fissi sono aumentati, la redditività, come dicevo, è diminuita. Oggi il mercato è molto più complesso, con un affollamento di canali distributivi che propongono offerte con prezzi, in taluni casi, molto differenti, i quali, va detto, creano grande confusione e penalizzano maggiormente chi si occupa di distribuzione Horeca.

Possiamo dire: si stava meglio quando si stava peggio?

«Diciamo di sì. Ma non lo dico con rimpianto; le situazioni sono cambiate, è vero, ma ora dobbiamo essere bravi ad adeguarci e facendo leva sui nostri punti di forza a rilanciarci in questo contesto. Certo non è facile, ma i distributori tradizionali hanno tutte le qualità per riuscire».

Bene, parliamo del distributore: qual è a suo avviso il problema più grosso che deve fronteggiare?

 Senza dubbio quello del credito.

Scusi, ma l’Art. 62 non l’ha risolto?  

«L’Art. 62 è una coperta troppo corta, se va a coprire un lato inevitabilmente scopre l’altro».

In che senso?

«Nel senso che l’entrata in vigore di questo articolo ha in qualche modo costretto i clienti a rispettare i termini di pagamento, ma dall’altro condiziona il loro potere di acquisto. Comprano meno con più attenzione e parsimonia e questo, ovviamente, crea altri problemi».

Quindi, possiamo dire che l’impatto del Art. 62 è negativo?

«Al momento non vedo grandi miglioramenti, poi, per chi si occupa di distribuzione, la posizione fra incudine e martello è molto scomoda; bisogna rispettare i tempi con i propri fornitori e allo stesso tempo rincorrere i propri clienti, parlo degli esercenti i quali, dai riscontri che ho, relativamente all`Art. 62, sono assolutamente disinformai».

Oppure, fanno finta di non capire?

«Certo, quando si deve pagare, fare gli "indiani" è prassi consolidata, ma in questo caso ritengo sia mancata una specifica informazione da parte delle associazioni di categoria, forse perché quest’ultime hanno sempre osteggiato l’entrata in vigore del provvedimento».

Ma torniamo a parlare di distribuzione e delle problematiche correlate. Ad esempio, mettendo a confronto chi opera al Nord con chi opera al Sud Italia, vede particolari differenze?

«Ritengo che i problemi siano più o meno simili: margini, crediti, concorrenza sull’intercanalità; però qui al Sud operiamo in un contesto socio-economico meno ricco, e questo fa la differenza».

È vero che le aziende di produzione trattano meglio i distributori del Nord?

«Questa è una domanda scomoda e politicamente scorretta. Forse sì, alcune aziende offrono qualche sconto in più, perché probabilmente condizionati dai volumi e dalle capacità di vendita di alcune grosse realtà. Ma questo fa parte delle logiche di mercato. E poi, in fondo, non è questo il punto. La distribuzione qui da noi deve fare i conti con situazioni alquanto bizzarre che creano, nel settore distributivo, degli autentici paradossi».

Per esempio?

«A lei non sembra bizzarro che un qualsiasi operatore, per esempio un fruttivendolo, si rechi in un Cash&Carry qualsiasi, carichi il suo furgone con i prodotti in "superofferta", e poi, li vada a rivendere locale per locale, ricaricando poco più di niente? È una concorrenza spietata, una cattiva prassi che ha luogo specialmente in Campania. Per chi si occupa di distribuzione seria, con tanto di dipendenti in regola, il danno è enorme!».

Beh, penso che questi abusivi andrebbero denuciati...

«Bravo! Ma chi lo fa? E poi, se ne accusi uno gli altri cento continueranno indisturbati a trafficare. Il problema non è facile da risolvere».

Parliamo di realtà consortili, secondo lei, perché tanti distributori non sono associati ai consorzi? Forse non c’è poi tutta questa convenienza?

«Non saprei, io sono felicemente socio DI.AL. e fatti, due conti, la convenienza c’è. Per gli altri non saprei. Poi, ritengo che appartenere a un consorzio, essere parte di un gruppo, non dev`essere solo un fatto di convenienza. Progettare e lavorare insieme, perseguire obiettivi comuni è fondamentale, specie in tempi di crisi come questi, dove il danaro è sì importante, ma sono ancor più importanti le prospettive. Da soli non si va da nessuna parte. A proposito di consorzi, poi, mi lasci dire un’altra cosa: cosa sarebbe stato di questa categoria senza il lavoro, le lotte, le prese di posizioni dei consorzi e, aggiungo anche, della stessa federazione Italgrob? Se non ci fossero stati consorzi e federazioni a quest’ora, probabilmente, non staremmo qui a parlare di futuro. Non avremmo futuro».

Ipotizzando una scala di professionalità da 1 a 10. Dove posizionerebbe il distributore?

«Direi 5».

Così poco? Siamo sullo scarso...

«Non lo leggerei in modo negativo, guarderei piuttosto al bicchiere mezzo pieno con la consapevolezza che si può e si deve migliorare, che si può e si deve ancora crescere. Ragionando in prospettiva, e guardando da vicino la realtà del consorzio al quale appartengo, noto che non appena ai distributori dai la possibilità di migliorare, ebbene, loro sono ben felici di farlo e si impegnano per questo. Ad esempio, in DI.AL., abbiamo recentemente introdotto un sistema per la lettura e le analisi dei nostri dati di vendita. Questa innovazione è stata accolta con grande interesse da tutti i soci, i quali si stanno impegnando, come non avrei mai creduto, per ottimizzarla e renderla funzionale alla propria crescita professionale. Quindi è vero, siamo a 5, ma c’è la volontà di arrivare a 10. Servono idee e strumenti nuovi, e qui tocca ai consorzi e alla Federazione Italgrob, di cui sono onorato di esserne consigliere; fare fino in fondo la propria parte, non solo a favore della categoria, ma a favore di tutta la filiera Horeca. E su questo, non nutro dubbi».

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