Consumatori, distributori e produttori: tre mondi tradizionalmente distinti, con interessi spesso divergenti, in lotta perenne su chi riesce a portare a casa i maggiori margini a disposizione lungo ciascuna filiera. Ma potrà essere sempre così ? Specie in questi periodi turbolenti in cui le risorse sono sempre più scarse, gli utili risicati, la difficoltà di tenere in piedi le aziende si gioca spesso a danno dei propri partners (basti pensare ai termini di pagamento sempre più estesi...). Tutto questo mette a rischio la tenuta competitiva delle filiere a vantaggio di quelle che riescono invece a redistribuire equamente utili, cash e reputazione.
Oggi sappiamo benissimo che la domanda è diventata molto volatile e dinamica, che le previsioni non si fanno o sono di bassa accuratezza con conseguenti alti livelli di stock, che serve più visibilità nelle supply chain, che i punti vendita non si possono permettere scorte, e cosi via.
I più avanzati approcci di filiera tendono oggi a dare una risposta concreta a questi problemi e contrasti al fine di rendere il business, nella sua interezza, sostenibile per tutti gli attori che vi partecipano ( i cosiddetti “stakeholders”). Spesso uno dei nodi cruciali alla realizzazione di questi nuovi modi di lavorare risiede nella difficoltà di impostare dei modelli innovativi di pianificazione della distribuzione, che presuppongono innanzitutto un condivisione delle informazioni, oltre che una più dichiarata fiducia degli attori coinvolti.
Ci si ferma spesso alle prime avvisaglie di mantenere “riservati” i dati, ad esempio, sui propri clienti, sul livello delle scorte , o sui volumi produttivi. Riservatezze che, comunque, possono comunque essere ancora mantenute gestendo oculatamente profili di autorizzazione degli utilizzatori del sistema, in modo da non inficiare le esigenze di condivisione di determinate informazioni che sono necessarie per velocizzare i tempi di consegna e ridurre le scorte.
Il concetto base è comunque uno: accettare che tutti gli attori della filiera raccolgano le previsioni solo al punto vendita, dopodiché, con il cosiddetto processo “bottom – up (da valle a monte) queste previsioni vengono “aggregate” sino alle industrie manifatturiere, ma senza però rielaborarle lungo i vari passaggi fino al produttore. Questo perché sul punto vendita (che sia un ristorante, un supermercato od un negozio qualsiasi) si ha la reale conoscenza del mercato, dopodiché ogni passaggio a monte non è altro che un calcolo ed un’aggregazione dei dati previsionali.
La domanda previsionale, e quindi indipendente (ossia che non dipende da altri fattori od elementi se non il mercato), verrà semplicemente stimata ai punti vendita, e di conseguenza verrà tradotta in domanda dipendente (e quindi calcolata dalla domanda di altri elementi o fattori) nei centri distributivi e negli stabilimenti, come derivata di quella indipendente.
In sintesi, si adotteranno le metodologie per ridurre il non desiderato effetto frusta (ripple effect) nella filiera, effetto che dimostra l’amplificazione della variabilità della domanda da valle a monte, dovuta innanzitutto all’assenza di un punto unico previsionale ed al conseguente accumulo di scorte in eccesso.
Ma spesso ciò non accade in quanto si hanno delle resistenze a condividere queste informazioni “reali” ed a concordare chi si deve occupare professionalmente delle previsioni per tutta la filiera.
Succede allora che lo stock - che spesso consideriamo in parte di “sicurezza” proprio perché dovrebbe coprire le variazioni impreviste della domanda o delle forniture – diventa lo strumento che copre le incertezze e le variazioni di domanda, cosa ancora maggiormente aggravata dal comportamento di ciascun nodo della filiera che opera in modo “indipendente” .
Se facessimo una valutazione approssimativa di quanto costa tale genere di spreco, dovuto essenzialmente alla mancanza di coordinamento e sincronismo (e che in definitiva ricade sui consumatori), circa un terzo del valore delle giacenze che sono presenti nei vari magazzini di produzione e distribuzione può essere ridotto. Inoltre, anche nelle grandi catene di supermercati, si registra almeno l’ 8% di prodotti mancanti nel momento in cui sono richiesti dalla clientela, percentuale che arriva al 40 % durante le promozioni (studio GMA/FMI, 2002).
Evitare, dunque, che ciascuno faccia da sé le proprie previsioni e, soprattutto, che queste vengano stimate a livello di centri distributivi e dei grossisti. Un discorso a parte meriterebbe l’accuratezza delle previsioni, anch’essa determinante nel generare una gestione dei livelli di stock ottimale, ma di questo argomento occorre occuparsene a parte..
Questo nuovo approccio ha pure un nome, e si chiama “flowcasting” , che consiste in una evoluzione del modello classico della pianificazione dei fabbisogni distributivi, detto Distribution Requirements Planning (DRP) con delle nuove tecniche di previsione applicabili per gli articoli a bassa rotazione.
Il flowcasting parte dalla raccolta giornaliera delle vendite alle casse dei punti vendita, dopodiché vengono attualizzate le previsioni per le successive cinquantadue settimane, vengono lanciati i programmi di approvvigionamento in modo concatenato lungo tutta la filiera fino ai produttori, e resi visibili i livelli di giacenza per ciascun articolo in ogni punto della filiera.
I vantaggi sono evidenti anche per i produttori: si riduce la variabilità della domanda (il già menzionato “effetto frusta”) consentendo così, a monte, una domanda più regolare e gestibile dalla programmazione della produzione.
L’approccio mette sempre al centro la capacità di gestire la pianificazione ricollocando lo strumento informatico nel suo giusto ambito: come supporto alle scelte di bilanciamento tra carico e capacità, e non più come “delega in bianco” data ai tools informatici nel ricercare ottimizzazioni a dei vincoli più o meno ipotetici, con algoritmi incomprensibili e difficili da decifrare.
Ciò comporta una riprogettazione dei flussi informativi e fisici, avente i seguenti macro obiettivi sui punti vendita:
- consegne giornaliere
- livello di servizio ottimale
- minimizzazione della merce invenduta e/o scaduta
- minimizzazione delle rotture di stock
Tali obiettivi dovranno essere compatibili con un costo logistico (trasporti, magazzinaggio, etc.) che possa essere sostenuto dall’intera filiera di riferimento.
La regolarità di ripristino al punto vendita dipenderà da quali modalità di gestione delle scorte saranno attivate. Essenziale risulterà il dimensionamento della scorta minima e massima e dalle politiche di riordino verso i produttori.
Questi ultimi, infatti, dovranno garantire una reale capacità produttiva nel tempo in funzione delle programmazioni del canale distributivo (che terranno conto di promozioni, stagionalità, etc.).
I vantaggi economici per i partecipanti a questo nuovo modello di filiera si traducono in:
- riduzione dei costi per i resi
- riduzione dei costi di mancata vendita, a causa delle rotture di stock
- riduzione dei costi per lo stock in eccesso (oltre lo stock massimo programmato)
- riduzione dei costi per consegne urgenti e non programmate
che saranno ripartiti equamente tra i diversi attori (produttori, distributori, punti vendita).
Si stima che il valore della merce richiesto ad un punto vendita sia un quarto di quella effettivamente prodotta, causando sovra costi che si riflettono sul prezzo di vendita
Occorrerà quindi sviluppare con cura:
- la gestione delle previsioni (sia sul venduto rilevabile alle barriere cassa che dalle consegne del distributore ai punti vendita al di fuori del perimetro del progetto)
- la gestione del Distribution Requirements Planning (DRP) che permette di gestire la domanda come indipendente (quindi soggetta a previsioni) solo sui punti vendita , ed invece dipendente a monte dei punti vendita.
Il flowcasting si basa semplicemente sui dati reali giornalieri di vendita, senza la necessità di investire su costosissimi progetti informatici con al seguito schiere di consulenti che parametrizzano e customizzano a più non posso.
Parliamo ovviamente dell’utilizzo delle moderne tecnologie SaaS (Software as a Service) che permettono di risparmiare sull’infrastruttura informatica e di rendere molto più flessibile l’uso degli strumenti stessi.
Tutto questo non può che giocare a favore dei diversi attori della filiera, a patto che condividano strumenti, metodi e soprattutto obiettivi strategici.
Per passare dalla teoria alla pratica occorre lanciare un programma pilota, con un gruppo di lavoro formato da almeno un punto vendita, un distributore ed un produttore. Il risultato, con le premesse di cui sopra, non può che essere positivo a vantaggio di ciascun attore e degli altri che via via si aggregheranno. Noi siamo pronti con voi ad impostare e realizzare questa esperienza.
Ing. Giuseppe Lovecchio
CFPIM & CSCP Certified
info@lovecchioconsulting.it
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