18 Settembre 2013

Aumento delle accise e altri balzelli: i distributori dicono no!


Altro che decreto del fare. C’è una sola cosa che questa specie di strano e improbabile Governo è capace di fare con una disarmante faccia tosta: tassare, tassare, tassare. E lo fa purtroppo con un accanimento che non ha nulla di terapeutico. Anzi. Se fa finta di togliere (per il momento) l’IMU sulla prima casa, immediatamente cerca di fare cassa raschiando i fondi dei soliti barili. L’inopportuno aumento delle accise sulle bevande alcoliche è esattamente uno di questi barili.

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Un settore che deve subire l’ennesima rapina, una discriminazione contro la quale la federazione Italgrob esprime a  viva voce la più ferma contrarietà, offrendo, al contempo piena e totale solidarietà al mondo produttivo: ai birrai che sono già soggetti alle accise fra le più alte d’Europa, ai distillatori che devono subire un aumento addirittura del 30% e a tutti gli altri produttori penalizzati da questo intempestivo aumento. Ma questo iniquo balzello non penalizza solo e soltanto i produttori, purtroppo si ripercuote come un feroce colpo di frusta lungo tutta la filiera, andando a deprimere ancor più consumi e consumatori. Consumi che subiranno l’ennesimo tracollo con il prossimo imminente aumento delle aliquote IVA.

Tuttavia i danni più ingenti di tali aumenti, e di questo non si parla mai abbastanza, sono subiti dalla distribuzione. Un settore vitale che dà lavoro a decine di migliaia di addetti. Solo nel circuito Italgrob, ad esempio, trovano impiego ben 15.000 persone, oltre a 5.000 addetti specializzati nelle vendite sul canale fuori casa. Gente che, al pari dei titolari di aziende, non gode di alcuna tutela da parte delle istituzioni. Niente C.I.G. niente sussidi, ma solo oneri. Senza contare che la categoria è costretta ad operare con marginalità sempre più risicate, mentre, d’altra parte strapaga l’IMU sui capannoni, strapaga il carburante necessario pe muovere gli automezzi, strapaga la TARES e cento altre gabelle. Non riceve però lo stesso trattamento quando deve incassare. L’ormai famigerato Art. 62, se da una parte costringe i distributori a rispettare i tempi di pagamento con i loro fornitori, dall’altra non incide sui loro incassi perché a valle della filiera (Pubblici esercizi) il rispetto dell’Art 62 è praticamente nullo.

Il recente balletto ministeriale fra chi lo riteneva valido (Ministero dell`Agricoltura) e chi invece lo riteneva nullo (Ministero per lo Sviluppo Economico), ha contribuito ad ingenerare la più totale confusione, dando la stura ai soliti furbi per eludere i propri doveri. A nulla pare sia servito la sentenza del TAR di agosto che ribadiva la piena validità dell’Art. 62. La confusione continua regnare e i distributori devono, purtroppo, fare ancora da banca ai pubblici esercizi. Anche perché l’Antitrust, che dovrebbe vigilare e garantire il rispetto del provvedimento ed emanare le relative sanzioni, ha di fatto le mani praticamente legate.  Non si comprende perché non si sciolgono le mani all’Antitrust per dare piena funzione all’Art 62. Oppure si comprende benissimo se si considera che la lobby dei cattivi pagatori è sempre la più forte.

Ma torniamo alle tasse.

L’infausto aumento delle accise, insieme al calo delle vendite e la crisi di liquidità, rischia di essere il colpo di grazia per una categoria già in estrema difficoltà. E tutto ciò senza tener conto che, data la capillare presenza sul territorio, i distributori di beverage svolgono la preziosa e insostituibile funzione di ammortizzatore economico-sociale. Ma non solo: il settore è la vera e unica cinghia di trasmissione del motore Italia. Se questa cinghia si rompe il Paese si ferma.

E allora perché spegnere il motore?

Perché continuare a tartassare? Perché questo Governo non trova forza e coraggio per recuperare le risorse in quel mare oscuro e inesplorato che è la spesa della pubblica amministrazione? Stiamo parlando di oltre 800 miliardi l’anno. Altro che accise! E di questi 800 miliardi almeno 100 vengono sprecati se non rubati; di cui 60 sono divorati dalla corruzione e 40 che se ne vanno malamente in sprechi e inefficienze. A stabilirlo non è Italgrob, ma addirittura la Corte dei Conti, uno dei massimi e più seri organi del nostro Paese.

E allora di cosa stiamo parlando?

Non vorremmo come categoria giungere ad incrociare le braccia per protestare contro questo stillicidio, e fare magari come i famosi "forconi" per ottenere, con metodi estremi, equità  e giustizia. L’intento della categoria, seppure in grande difficoltà, non è quello di bloccare il Paese, bensì contribuire a farlo ripartire a tutta velocità facendo fino in fondo quanto gli compete per la sua rinascita. Ma a una condizione: che la politica ritrovi dignità e idee e cominci sul serio a fare qualcosa di concreto per il futuro di questo nostro Paese, e non solo a raschiare il fondo dei soliti barili.

Dino Di Marino

Direttore Generale Italgrob

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