Consumi e vendite in calo, criticità e cambiamenti in un mercato sempre più complesso: come competere, quali prospettive per le aziende di distribuzione? Ne parliamo con Stefano Betti della Betti & C. s.r.l., società specializzata di distribuzione bevande di Cividate al Piano, Bergamo.
Mercato Ho.Re.Ca, si prospetta un altro anno difficile: consumi che non crescono, pubblici esercizi in sovrannumero rispetto alla reale domanda dei consumatori, mancanza di liquidità: tutte problematiche che si ripercuotono lungo la filiera a danno, in primis, del distributore. Se dovesse indicare tre cose che il grossista deve mettere in atto per fronteggiare questo momento delicato, cosa suggerirebbe?
«In primo luogo inviterei i miei colleghi a pensare positivo. In un momento critico, il giusto atteggiamento mentale è la prima indispensabile condizione per cominciare a risolvere i problemi. Nella maggior parte dei casi siamo i personali fautori del nostro destino. Una convinzione che si è ulteriormente rafforzata, leggendo, in occasione della recente convention di San Geminiano a Verona, il consorzio al quale appartengo, un aforisma di George Bernard Shaw».
Cosa diceva esattamente?
«Le persone che progrediscono nella vita sono coloro che si danno da fare per trovare le circostanze che vogliono, e se non le trovano, le creano».
Bello davvero! Okay pensare positivo è necessario: ma le tre cose essenziali da mettere in pratica, secondo lei?
«Tutto deve partire da un’oggettiva e seria analisi della propria dimensione aziendale. Comprendere “chi si è davvero”, stabilire in maniera chiara la propria Vision e la propria Mission è la condizione necessaria per fare delle scelte. Fatto questo per prima cosa punterei a razionalizzare le risorse a disposizione, attraverso l’ottimizzazione degli acquisti e dei costi di gestione della struttura. In tempo di crisi sono scelte ineludibili che spesso nel corri corri quotidiano si tende a rimandare, o peggio ancora a sottovalutare. Ebbene, lontano dal pensare, che tagliare i costi improduttivi possa significare depauperare l’azienda, posso affermare che una tale pratica può dare risultati inaspettati e sorprendenti. Spesso, infatti, una parte di utili, magari proprio quelli che mancano per raddrizzare un’annata difficile dal punto di vista delle vendite, possono essere nascosti proprio nella spirale dei costi».
Seconda pratica?
«Un attento, direi feroce, monitoraggio del credito. La liquidità oggi è un fattore che fa la differenza. Anche perché il denaro costa, e quindi incide sul conto economico, senza considerare che il sistema creditizio, com’è risaputo, ha da tempo stretto i cordoni della borsa, facendo diventare il cash un fattore vitale per le aziende».
Terzo Punto?
«Segmentare la clientela, individuarne i diversi potenziali al fine di tarare e indirizzare nel modo migliore risorse ed investimenti. Quanto più oculata è questa pratica, tanto più alto sarà il ritorno delle risorse che avremmo destinato sullo specifico segmento. Insomma dobbiamo essere quanto più certi di investire sui clienti giusti, quelli che possono creare e restituirci valore».
In una delle tavole rotonde, in occasione del recente IHM di Italgrob, alla quale lei ha preso parte, si è discusso di come nel mercato i "giochi stiano cambiando". Il distributore può essere il driver di questo cambiamento?
«Sì, sicuramente può essere il driver del cambiamento a condizione che riacquisti la consapevolezza del proprio ruolo e definisca in maniera chiara e forte, così come dicevo prima, la propria Vision e Mission. A tale proposito non vorrei essere frainteso: Vision e Mission non devono essere vissuti come concetti astratti, ma è altrettanto chiaro che se non si stabiliscono bene le coordinate della propria identità non si può tracciare nessuna rotta. In altri termini, per usare una similitudine, se non si ha una stella cometa da seguire, non si va da nessuna parte».
Se volessimo andare nel pratico e definire con poche parole questi concetti?
«Premesso che ogni grossista, grande o piccolo, ha la sua specifica identità, ritengo che per un distributore specializzato vocato al mercato Ho.Re.Ca. la Vision è esattamente il suo mercato: deve saperlo leggere, interpretarlo, assecondarlo, magari anticiparlo e conquistarlo. La Mission è il contenuto di servizio che lo contraddistingue da altri operatori, la capacità di fare category management, di individuare progetti e prodotti in linea con le specifiche esigenze dei suoi clienti e offrire loro oltre a prodotti, beni immateriali come conoscenza e competenza».
In un contesto di medio-lungo periodo quale passi è necessario compiere per essere pronti alle sfide future?
«Riagganciandomi a quanto dicevo prima, bisogna acquisire la consapevolezza che competenza e cultura di canale alla lunga saranno determinanti per la competizione e faranno la differenza. Tutto ciò poi non potrà prescindere da una peculiare formazione intesa nel senso più ampio del termine; di fronte ad un consumatore sempre più evoluto, ci saranno esercenti sempre più preparati e, conseguentemente, venditori, o meglio, consulenti vendita, che dovranno dimostrare la loro competenza e professionalità, aiutati da prodotti innovativi, magari specifici per il canale Horeca, oltre che da alti livello di servizio offerti dal Distributore. In un mercato sempre più competitivo la simpatia non sarà più sufficiente, pertanto la predisposizione all`apprendimento svolgerà il ruolo di fattore critico di successo».
Grandi fatturati, piccoli fatturati: secondo lei la "dimensione" di un’azienda d’ingrosso sarà una variabile decisiva per le difficile sfide che si profilano all`orizzonte?
«La dimensione dipende dal contesto nel quale si opera. Ci sono mercati e situazioni nei quali il “piccolo” può vincere con le armi della flessibilità e tempestività; altre situazioni invece impongono dimensioni e strategie diverse. La nostra Italia, fortunatamente direi, è storicamente geograficamente variegata, e anche il mercato Horeca di conseguenza è l’emblema di questa diversità. Considero questa diversità un’opportunità dove ogni distributore può giocare la sua partita. Ma dovrà farlo con coerenza e mettendo in campo quei valori che, al di là delle dimensioni restano comuni: territorio, servizio, cultura di canale».
Le aggregazioni, anche fra soggetti diversi, ad esempio ex partecipare e distributori indipendenti; ex partecipate e operatori della D.O.; distributori indipendenti e centrali di acquisto D.O.: sono strade obbligate per conservare volumi e margini?
«Non saprei dire se sono obbligate, posso solo dire che anche in questi casi la regola base resta la coerenza: se si aggregano realtà tanto per fare massa critica, senza una visione comune, senza un progetto coerente e univoco, il matrimonio non potrà funzionare».
Non vede il rischio di un’ulteriore caos con la definitiva perdita di identità del distributore di bevande specializzato?
«I pericoli ci sono sempre e vanno tenuti d’occhio. Certo se si dovesse barattare l’identità con i volumi potrebbe non essere un buon affare. Stravolgere il proprio imprinting, che resta quello di offrire un servizio al cliente (che non va inteso come sottomissione), o ancor peggio despecializzarsi, porterebbe il distributore di bevande ad avere una funzione diversa da quella che storicamente gli viene riconosciuta. Personalmente ritengo che non ne valga la pena».
Parliamo di consorzi: nonostante il mercato sia in forte evoluzione il loro ruolo resta più o meno ancorato a quello di qualche decennio fa: essere in primis un gruppo di acquisto, poi pianificare una qualche attività promozionale e non molto altro. Non le pare siano un po’ indietro rispetto all’evoluzione del mercato?
«Guardi, non condivido queste considerazioni. I consorzi italiani si impegnano molto per offrire ai propri soci servizi al passo con i tempi. Porto ad esempio la realtà San Geminiano, alla quale appartengo, che propone in continuo tutta una serie di progetti, prodotti, attività e iniziative che danno supporto ai distributori in periferia. Certo, c’è sempre qualcosa di più e di meglio che si può fare, ma non ho dubbi che si farà, i consorzi sono e restano una componente essenziale, direi vitale per il futuro del distributore».
A proposito di fare più e fare meglio, cosa può e deve fare il tal senso la Federazione Italgrob?
«Premetto che il ruolo e i compiti che attengono alla Federazione sono estremamente complessi, perché essa deve “unire” la diverse anime dei consorzi che la rappresentano. Tuttavia, tutto ciò, non rappresenta un problema, per quanto mi riguarda, lo dicevo anche prima, la diversità è un’opportunità che nel caso delle Federazione, può, attraverso un’osmosi di riflessioni, idee e soluzioni, arricchire tutta la categoria. Italgrob deve favorire questa osmosi».
Lo sta facendo?
«L’impegno della Federazione, soprattutto nell’ultimo triennio, si è profuso lungo molteplici direttive: le attività di comunicazione, la realizzazioni di una manifestazione del livello dell’International Horeca Meeting, le iniziative messe in atto relativamente al progetto di semplificazione dei modelli contrattuali, allo studio e alla messa a punto di una modulistica comune sulle cauzioni. Sono tutte iniziative meritorie, soprattutto perché Italgrob, per la prima volta, l’ha fatto mettendo insieme allo stesso tavolo produttori e distributori. Molto bene ad esempio il progetto sulla formazione tramite i fondi Fonarcom. E’ un progetto che richiede tempi di medio periodo, ma la scelta è corretta».
Fare di più, fare meglio?
«Sì, è possibile fare di più e meglio. Anche in questo caso, nonostante il compito sia estremamente complesso, conoscendo la dirigenza e i consiglieri non ho dubbi in merito: sapranno tenere alto il tiro facendo vedere dove si vuole arrivare».
Dove è necessario arrivare?
«Verso un mercato professionalizzato dove il ruolo del distributore di bevande sia altamente riconosciuto non come un semplice consegnatario, bensì un operatore che ha un ruolo determinante nel contesto della filiera. Inoltre, sempre traendo linfa e ricchezza dalle diverse anime che la compongono, la Federazione deve poi lavorare ancor più e meglio su quelle politiche che possano accomunare tutta la categoria, ed impegnarsi in modo più incisivo verso le istituzioni per tutelarne gli interessi. Il rilancio del progetto del VAR, accordi speciali per le ZTL, piuttosto che la rivisitazione degli studi di settore che ci riguardano: sono queste le iniziative pratiche che fra le altre metterei in agenda».
Quindi darsi sempre e ancor più da fare...
«Esattamente, proprio come affermava G.B. Shaw: "il progresso lo fanno quelle persone che si danno da fare per trovare le circostanze più opportune. E se non ci sono bisogna crearle". E per fare questo, aggiungo e concludo, bisogna pensare positivo, essere creativi e avere il coraggio delle proprie idee».
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