La distribuzione Ho.re.ca. vista con gli occhi di un giovane distributore. Innovazioni e motivazioni sono sufficienti per fronteggiare le criticità? Ne parliamo con Matteo Trussoni, 37 anni, laurea in economia e commercio e responsabile della rete commerciale della Fratelli Trussoni Srl, azienda fondata negli anni ’60 che opera a Dubino (Sondrio).
Allora Matteo, lei è in azienda da circa 9 anni e non ha avuto, quindi, la possibilità, se non nei racconti di suo padre Paolo, di vivere gli anni del boom, quando il mercato Ho.re.ca. cresceva a doppia cifra: viste le difficoltà attuali ha dei rimpianti per quegli anni?
«Nessun rimpianto per carità, affrontiamo le situazioni per quelle che sono, con la consapevolezza che in ogni epoca e in ogni mercato ci sono specifiche difficoltà, ma contestualmente anche delle opportunità e quindi soluzioni adeguate».
Rispetto ai grossisti di una volta, la cui esperienza si è svolta fondamentalmente in un mercato che cresceva, ritiene che sia più semplice, per un giovane distributore, affrontare le odierne difficoltà in un contesto che nella sostanza fa molta fatica a crescere?
«Non è una questione di termini di paragone. Immagino che i grossisti di un tempo avevano problematiche diverse. Oggi siamo chiamati a fronteggiarne altre: una concorrenza più che mai serrata e aggressiva, un mercato fortemente contratto che registra una propensione ai consumi piuttosto fiacca. Anche la clientela è mutata, sempre più sollecitata da offerte esterne e quindi fondamentalmente meno fedele al proprio fornitore storico».
Quindi, nessun vantaggio rispetto a chi ha operato in un mercato meno critico?
«Confermo il mio no. Nulla è mai semplice per chi fa impresa. Viviamo la realtà per quella che è, inutile pensare al passato. Per quanto mi riguarda un imprenditore deve tenere i piedi ben piantati per terra e guardare avanti, piuttosto che indietro».
La gioventù, se da un lato sottende inesperienza, dall`altro offre idee ed entusiasmo: sono queste armi sufficienti per competere un mercato che, come dicevamo, non cresce?
«La crisi ha messo a nudo alcune lacune dei grossisti, i quali hanno preso coscienza che la competizione oggi richiede un approccio più professionale; pertanto l’entusiasmo è importante, come sono importanti le motivazioni e la passione per il proprio lavoro, ma da soli non bastano. Per quanto concerne la distribuzione di bevande è oggi più che mai necessaria una specifica competenza, una maggiore conoscenza di tutti gli aspetti gestionali, merceologici e di marketing».
Quindi la crisi non è poi quella gran maledizione, in qualche modo potrà migliorare la categoria?
«Certo, perché impone una reazione, sollecita nuove idee e innovazioni, obbliga a delle scelte. Affermava Albert Einstein: “Chi supera la crisi supera se stesso senza essere superato”. La ritengo una massima perfetta. Questa crisi imporrà una selezione anche alla nostra categoria, ne emergerà una più evoluta, dinamica e moderna».
Passaggio generazionale: in casa Trussoni è stato affrontato e superato, e lei ne è la concreta realtà. Quali sono a suo avviso le maggiori difficoltà che incontrano le aziende di distribuzione bevande nel ricambio generazionale?
«Devo dire che nella mia azienda il passaggio generazione è ancora in progress, sta avvenendo. Mio padre e mio zio sono ancora super attivi e fondamentali per la vita aziendale. Io mi sto integrando gradatamente e insieme a loro, grazie a loro, sto facendo un’esperienza fondamentale e direi impagabile. Da questo punto di vista sono molto fortunato».
Se dovesse suggerire un percorso, delle soluzioni a un suo coetaneo che si appresta al difficile compito, cosa gli consiglierebbe?
«Non vorrei dare consigli gratuiti, ritengo tuttavia che fra padre e figlio, un buon passaggio di consegne, oltre che stima e fiducia, richieda due fattori fondamentali: il dialogo e l’esempio. Un dialogo indotto dai genitori i quali devono cercare di essere meno accentratori, i figli d’altro canto, con una certa dose di umiltà, devono avere la pazienza di ascoltare e non avere fretta di bruciare le tappe».
L’esempio?
«Nel momento in cui un figlio dimostra attaccamento al lavoro e lo fa in modo appassionato e genuino, il genitore lo apprezza, si rivede in lui; ciò rende tutto più semplice, più armonioso e fa si che il passaggio generazionale avvenga con successo».
È quanto sta avvenendo nella Trussoni srl?
«Esattamente: il dialogo, la stima rende tutto più stimolante e gratificante, il tutto poi si armonizza con gli affetti familiari creando un clima che dà delle motivazioni fortissime e quindi offre potenzialità enormi».
Idee e innovazioni: può evidenziare una sua personale iniziativa che ha apportato in azienda?
«Una cosa di cui vado particolarmente fiero è quella di aver voluto ed essere riuscito a mettere in rete tutta l’azienda. Dalla forza vendita (che è composta da 16 agenti) fino agli altri quadri aziendali, tutte le attività: dalla presa dell’ordine, all’apertura di un nuovo cliente, alle attività promo, insieme alle tante altre circostanze operative, viaggiano in tempo reale sui tablet. Quindi, abbiamo abolito block-notes, appunti volanti e comunicazioni verbali, in questo modo la velocità operativa è aumentata, soprattutto abbiamo annullato quasi del tutto i margini di errore nelle diverse fasi operative. Senza contare i risultati in termini d’immagine che abbiamo riscontrato con la clientela».
Se volessimo dare un valore in termini economici, quanto vale questa innovazione?
«Potremmo usare il parametro del tempo: come dicevo la nostra velocità operativa è aumentata. Ritengo che abbiamo guadagnato un buon 20%, questo significa che tutti hanno più tempo per fare altre cose: e siccome il tempo è denaro, ognuno nel suo ambito può quantificarne il relativo valore».
Torniamo al confronto fra vecchia e nuova guardia e specificatamente ai rapporti commerciali con l’industria. Come sono cambiati i rapporti? Prima la componente “trattativa commerciale” era il "nesso" assoluto del rapporto: è ancora così, o le nuove leve ragionano e impongono condizioni e situazioni differenti?
«Riconosco che i nostri “vecchi” nelle trattative commerciali erano davvero tosti, noi giovani forse siamo meno “cattivi”. Tuttavia va detto che la nostra attenzione, la nostra risolutezza si è spostata su altri parametri, quali ad esempio la migliore valorizzazione delle attività promo, una maggior condivisione delle iniziative di marketing. Insomma, in modi diversi ci facciamo valere anche noi, con la consapevolezza che nei confronti dell’industria non siamo dei sudditi, non siamo solo il braccio logistico, bensì degli operatori complementari, capaci di “leggere” il mercato e le sue dinamiche, forti della conoscenza che abbiamo del territorio e per la componete di servizio che siamo capaci di offrire».
Parliamo di futuro: la categoria dei distributori di bevande potrà conservare la sua identità oppure fra accordi, fusioni ed altre evidenti evoluzioni che si registrano nel sistema distributivo, si trasformerà in qualcosa di molto diverso da come la conosciamo oggi?
«L’evoluzione c’è, ed è evidente. La ritengo necessaria e del tutto naturale. Il fatto che la nostra azienda appartenga ad una struttura dinamica e snella come Beverage Network ci permette di avere un punto di vista privilegiato sull’evoluzione della categoria, questo perché i soci di Beverage Network si sono sempre distinti per la continua ricerca di innovazione e sviluppo. Detto questo non penso comunque sia solo un fatto d’identità, piuttosto di equilibrio».
In che senso equilibrio?
«Trovare il giusto equilibrio nel diventare azienda di distribuzione più grande e strutturata continuando ad avere il presidio del territorio. In altri termini mai dimenticare le proprie radici, ma l’albero deve diventare più grande e robusto per reggere l’urto delle tempeste».
Quindi l’evoluzione porta a una crescita delle dimensioni aziendali?
«Le rispondo con un paragone: in Francia il mercato intermedio della distribuzione Beverage Horeca vale circa 3 mld di Euro: quanto il nostro, grossomodo. Oltralpe però operano 500 aziende di distribuzione, contro le nostre 1700 circa. È vero che l’Italia per contesto storico - geografico è diversa dalla Francia, ma la logica dei numeri è assolutamente evidente e conferma che la naturale evoluzione porta inevitabilmente verso aziende più grandi e strutturate».
Cosa le fa paura del futuro?
«L’imprenditore ha il rischio nel suo DNA e non dovrebbe aver paura di nulla se agisce con buon senso. Certo preoccupa parecchio il problema del credito, i consumi che fanno fatica, ma per il resto ho fiducia. Poi se guardo ai giovanissimi, ho ancora più fiducia. Ad esempio ho registrato con piacere la bravura e la preparazione dei ragazzi dell’Horeca Distech che hanno organizzato il convegno di chiusura all’International Horeca Meeting. Eccellenti direi, se il futuro sono loro, non ho paura di nulla».
Tornado alla crisi: quando finirà?
«Non lo so, lo scopriremo solo vivendo e... lavorando».
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