Donne e distribuzione: acume e savoir-faire misti a competenza e tenacia, ma non solo. Idee chiare, voglia di fare e sentimenti genuini: di questo e molto altro ne parliamo in questa intervista con Giusy Adelizzi, giovane distributrice di Eboli - che opera a Salerno.
Buongiorno Giusy, ci tolga una curiosità, ma quello del grossista di bevande è un mestiere per donne?
«Perché no, ci sono tante donne che si occupano di distribuzione in Italia e lo fanno anche piuttosto bene».
In un settore storicamente alquanto maschilista, come quello dei distributori quali difficoltà, quali retaggi deve superare una donna per affermarsi?
«Personalmente non ho mai dato peso alle “differenze” e non ho mai trovato grosse difficoltà, se non qualche punta di snobismo da parte di qualcuno: non perché fossi donna, ma perché mi consideravano giovane ed inesperta. Ma tornando alla domanda, qualche retaggio e qualche luogo comune sulle donne c’è, da parte di pochissimi, a cui sinceramente credo non valga la pena neanche dare peso».
Però non si può non constatare che le donne nella categoria son pochine e che i ruoli decisionali sono solo ad appannaggio degli uomini.
«Mi scusi, ma devo eccepire ancora. Le donne ci sono, e sono tante. Del resto io le ho sempre viste e incontrate sin da quando, da ragazzina, accompagnavo mio padre negli incontri e nelle riunioni con altri colleghi. Forse è vero, sono un po’ dietro le quinte, ma non per questo non pesano nelle loro aziende, anzi ritengo ricoprano ruoli fondamentali e molto delicati».
Esempio?
«Amministrazione e controllo di gestione: innegabile che per natura hanno un particolare intuito, cercano di prevenire i problemi e soprattutto lavorano tanto. Le dirò mi fa molto piacere osservare che negli ultimi anni, dei colleghi ne stanno “arruolando” sempre di più anche nelle vendite».
Nella categoria non c’è quindi il problema di quote rosa?
«Non è mai una questione di quote: una persona, uomo o donna che sia, vale per quello che vale.
E fra i distributori ci sono donne che valgono. Piuttosto, se proprio devo dire, valuto invece alquanto deficitaria la presenza femminile fra i manager dell’industria con la quale abbiamo rapporti. Mi sbaglierò, ma non ho ancora conosciuto un National, se non un Direttore Vendite donna che lavora per un’ industria del beverage».
Secondo lei una donna è più brava nelle trattative commerciali?
«Le dò un’ultima risposta, spero definitiva: l’uomo e la donna partono alla pari, se poi hanno un cervello e lo fanno funzionare sono bravi entrambi».
Ok, basta con le domande sulle “differenze”. Ma com’è Giusy Adelizzi nelle trattative commerciali?
«Cerco di essere molto attenta, ho imparato che la trattativa è come una partita a scacchi, bisogna fare la mossa quando si è ponderato bene il tutto».
Da chi ha imparato?
«Mio padre è stato il mio primo maestro e da mia madre, che spero di eguagliare, poi nel mio cammino professionale ho incontrato persone molto competenti come Cleto Nigro, presidente del Di.Al., consorzio di cui faccio orgogliosamente parte, che mi ha insegnato come gestire con ironia e leggerezza anche le trattative più complesse».
Parlando con i colleghi che operano del Nord Italia, quali sono a suo avviso le differenti difficoltà che deve affrontare chi opera nelle regioni meridionali. Secondo lei è più difficile distribuire nel Sud Italia?
«Quando ho occasione di parlare con qualche collega del Nord Italia scopro che siamo accomunati dalle stesse problematiche e dalle stesse difficoltà. Forse quello che ci penalizza rispetto al Nord è la difficoltà di implementare una politica corretta dei margini, per svariati motivi».
Industria e condizioni commerciali: fra grossisti del Nord e quelli del Sud vi sono condizioni diverse, nel senso che praticano due pesi e due misure?
«No, anche in questo caso non è una questione di Nord e Sud, ma di dimensioni e prospettive».
In che senso?
«Nel senso che l’industria pratica condizioni migliori a quei grossisti che garantiscono volumi importanti e che in prospettiva - secondo le valutazioni di quell’industria - possono crescere e competere meglio sul mercato».
È giusto secondo lei?
«Probabilmente no, ma è la legge del mercato».
Cosa la fa più arrabbiare sul lavoro?
«Chi occupa un ruolo e non si assume le sue responsabilità. Un principio che ritengo imprescindibile sia nella mia azienda che nei rapporti con l’industria e, a valle, con i clienti».
Cosa farebbe sparire in questo settore se avesse la bacchetta magica?
«La concorrenza sleale, i furbetti che non rispettano gli accordi, che lavorano sottobanco gabbando le regole e la legalità. I distributori seri meriterebbero una maggiore tutela».
Chi potrebbe, dovrebbe tutelarli?
«Abbiamo un sindacato, una Federazione che su certe situazioni dovrebbe intervenire in maniera energica. Certo mi rendo conto che non è semplice, tuttavia far emergere i problemi, denunciarli nelle sedi opportune sarebbe già un’azione che, se pur non dovesse risolverli alla radice, quanto meno li pone alla pubblica attenzione».
Cosa ne pensa dei ribaltatori?
«Quell’operatore che in barba alle regole “sconvolge” gli equilibri di mercato e vuole vendere di tutto e a qualunque costo, non va certo bene; chi invece si occupa di ridistribuzione e lo fa con competenza e rispetto, ritengo svolga un ruolo importante nel nostro canale. Oggi per i grossisti è impossibile, e per certi versi non conveniente, avere in casa un assortimento che comprenda di tutto e di più. I ridistributori rispondono a questa esigenza offrendo un servizio fondamentale».
L`iniziativa che le è meglio riuscita e della quale lei è orgogliosa?
«Se guardo indietro, e mi vedo, appena laureata, entrare in azienda e prendermi timidamente le mie prime responsabilità, oggi mi sento sicuramente orgogliosa di quello che sono. E lo dico senza alcuna presunzione e supponenza. Sono inoltre fiera di aver impostato una gestione aziendale, che prescindendo dalla mia presenza, pone nelle condizioni i miei collaboratori di portare avanti l’azienda, cosa che fanno con grande senso di responsabilità, e di ciò li ringrazio».
Cosa si deve fare per migliorare questo settore?
«Dare più spazio ai giovani, confrontarsi sempre in maniera costruttiva e, soprattutto, senza pregiudizi. Iniziamo anche a valutare le esperienze che giungono dall’estero per capire dove, come e in che modo possiamo migliorare il nostro lavoro. Su queste direttrici, ad esempio, il ruolo dell’Horeca Distech, in un contesto internazionale, potrebbe essere ancor più fondamentale per la crescita di tutta la categoria».
Il futuro, come lo vede?
«A volte temo che questa crisi possa condurci verso un caos incontrollabile, ma dentro di me nutro sempre l’auspicio che si può cambiare e che si deve cambiare, magari sfoltendo la burocrazia, superando dettami e cavilli inutili e, soprattutto, premiando il merito».
La sua amica Antonietta Di Stasi, co-titolare delle Bevande Vitantonio, nel lavoro si ispira con molto sentimento alla sua mamma, come fulgido esempio femminile in questo mestiere. Anche se questo è un settore fatto di numeri e volumi c’è spazio per i sentimenti?
«I sentimenti non possono non esserci, bisogna però trovare il giusto equilibrio. Per quanto mi riguarda, quando lavoro cerco sempre di essere scevra da sentimentalismi, ma certi valori, come l’etica e il rispetto, sono fondamentali. Infatti, con Antonietta (Di Stasi ndr) mi confronto spesso e ne apprezzo l’onestà intellettuale e la grande carica che trasmette».
A proposito nei momenti difficili, parlando di lavoro, ovviamente, a cosa pensa e a chi si rivolge?
«Penso ai miei genitori, ai loro insegnamenti, alla loro integrità e alla loro voglia di fare. Loro restano il mio punto di riferimento in assoluto. Poi, è chiaro, coinvolgo e mi raffronto anche con il mio fidanzato (Fabio D’Auria ndr) e magari sento per telefono anche i mai dimenticati amici dell’università, con i quali torno ad allargare gli orizzonti».
Quindi, i sentimenti contano?
«Assolutamente sì. Al di là dei soldi, del mercato, del beverage, dei volumi e della distribuzione, non potremmo vivere senza».
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