16 Marzo 2011

L’Italia Unita del Beverage


Negli ultimi 150 anni di italica storia sono tante e molteplici le cause che hanno contribuito a rendere l’Italia e gli Italiani più uniti. Alcune decisamente nobili e degne di essere citate nella storia con la esse maiuscola, altre meno, ma non per questo poco significative.

Fra queste vi è anche la piccola, ma gustosa storia delle bevande; così come vi è pure la storia dei locali italiani: dagli antichi caffé ai moderni bar, dalle trattorie alla buona di una volta ai ristoranti di oggi, dalle locande alle pizzerie.

Negli ultimi 150 anni, in questi luoghi collettivi gli italiani, sorseggiando un caffé, un Vermouth o un grappino hanno consumato e replicato, senza forse saperlo, un rito collettivo e lì, in quei luoghi d’aggregazione, degustando l’aperitivo del momento o mangiando lo stesso unitario cibo, hanno vissuto giorno dopo giorno momenti di fondamentale socializzazione e, inconsapevolmente, cementato e reso più salda l’unità del Paese.

Intorno ad una pizza e con in mano un boccale di birra - altro comune rito della nostra società - hanno scoperto di avere gli stessi gusti, di anelare agli stessi piaceri, svelando e consolidando una comune identità, si sono così scoperti più italiani, hanno riso dei loro (nostri) mille difetti e gioito dei pochi, ma impagabili pregi.

Sicché, se l’Italia e noi italiani oggi siamo più uniti e ci ritroviamo a festeggiare questo 150° compleanno, una piccola parte del merito va anche a quella storia, a volte poco conosciuta, che si cela dentro ad una bottiglia, alle mode che evoca e induce, ai comuni gusti che stimola e aggrega.

 

Il Barolo di Cavour 

cavour.jpgSenza la presunzione di voler fare un trattato storico, ma solo per il piacere di scoprire quanto certe bevande, e certi luoghi dove esse si consumavano, hanno segnato la nostra comune storia, andiamo a guardare da vicino cosa amavano bere, ad esempio, i Padri della Patria.

 Apprendiamo così che Camillo Benso Conte di Cavour non avrebbe mai e poi mai rinunciato al suo bicerin, un mix di caffè, cioccolato e panna. A quei tempi era uso berlo, molto caldo, negli storici caffé torinesi. Luoghi nei quali si viveva la quotidiana socialità del tempo, così come la si sarebbe vissuta, in seguito, nei centomila e più bar che sarebbero, fino ai giorni nostri, sorti lungo tutto lo stivale.

Del bicerin il conte era ghiotto e scrutandolo nelle ingiallite foto d’epoca potremmo pensare che le potenti calorie che il mix conteneva, più che allo sviluppo delle idee politiche, contribuirono senz’altro alle sue paffute rotondità.

Apprendiamo, inoltre, che a Cavour piaceva molto il Marsala, lo gradiva in special modo con le ostriche. Chi l’avrebbe mai detto? Il serioso primo ministro del giovane Regno d’Italia che si era sempre (con una certa spocchia) rifiutato di visitare le regioni più a Sud di Firenze e di Bologna era estasiato dal vino liquoroso siculo.

”Ah, se avessi conosciuto certe regioni del Sud, non avrei mai fatto l’Italia" affermava con piemontese protervia. E quindi, se da un lato il nostro Camillo aveva fatto l’Italia senza mai completamente visitarla, dall’altro, a proposito di Sud e quanto di speciale offriva, aveva ben altri gusti e affinità. Sono i piccoli miracoli che sanno compiere certe bevande.

Sempre a proposito del suo buon bere va anche detto che lo statista era uno straordinario esperto di vini. In Piemonte aveva per lunghi anni gestito la tenuta agricola di Grinzane dove produceva un Barolo d’eccellenza che per pregio e qualità era alla pari con i più prestigiosi Bordeaux e Borgogna. Tanto eccelso da poter vantare anche delle virtù diplomatiche: quando lo statista o un suo referente partiva per una capitale straniera si preoccupava sempre di portare con sè qualche bottiglia. Ieri, come ai nostri tempi, il buon vino aveva (come ha) la capacità di far godere le papille gustative, di sciogliere la lingua e forse rendere più piacevole anche la politica estera. Oggi il nome Cavour è addirittura un famoso brand che firma una gamma di spumanti.

Vedete come è facile fondere e confondere la storia d’Italia con le bevande? 

 

 

Il drink di Casa Savoia 

savoia.jpgAnche l’altro famoso padre della Patria vanta storielle di bevande e beveraggi. Si sa che re Vittorio Emanuele II fu buongustaio e ottimo bevitore, oltre che impenitente amatore: preferiva i vini rossi importanti, il Barolo in primis, da gustare sui suoi piatti preferiti: il Tajarin, la Selvaggina al civet o alla brace, la classica bagna caoda, rigorosamente con solo aglio, olio e acciughe.

Non trascurava però gli altri classici vini piemontesi.

Ma non di solo vino s’inebriava il regale palato: i pettegoli di corte affermano che tracannava senza darsi peso un bel bicchierone di Vermouth prima, e anche dopo, le sue irrinunciabili e quotidiane fatiche d’amore.

Il Vermouth era già da allora un liquore in gran voga nelle savoiarde usanze ed era stato “inventato” qualche decennio addietro da Antonio Benedetto Carpano, un giovanotto sveglio dalle sicure intuizioni che apprezzando parecchio il moscato volle addizionarlo con erbe e spezie e renderlo infine amabile con l’aggiunta di zucchero.

Nacque così il Vermouth, e fu un successo strepitoso, tanto da essere immediatamente introdotto nelle usanze di Casa Savoia, e successivamente anche in quegli degli italiani.

Carpano fu così il primo di un`elite di imprenditori piemontesi che avrebbero fatto la storia del beverage nazionale. I Cora, i Cinzano, i Martini & Rossi, i Gancia e altri ancora, per merito dei quali il Vermouth divenne moda, prima nazionale e poi internazionale.

Ma la fama di Carpano è legata a un prodotto ancor più particolare. Un cocktail ante litteram nel quale veniva mixato una dose di Vermouth e mezza di china, ne derivava una bevanda piacevolmente amarognola, il mitico Punt e Mes. Fu il primo mix ufficiale del regno unito, la sua nascita è datata infatti 1870. La specialità non dovette mancare di piacere, fra gli altri piaceri, al nostro augusto padre della patria.

Il the di Garibaldi 

garibald.jpgIl Generale, sappiamo, aveva gusti spartani e non era, diciamolo subito, un fine intenditore. Anche le sue preferenze in fatto di bere erano in linea col personaggio: spiccio e risoluto, senza fronzoli né orpelli.A tavola beveva poco vino e (orrore) lo allungava con l’acqua, insomma amava pasticciare e in special modo nei suoi ultimi anni a Caprera si preparava degli intrugli con le erbe del suo orto. Otteneva così una sorta di Mate che gustava suggendo dalla cannuccia di metallo. Era in sostanza una sorta di elisir (o se volete un soft drink alla garibaldina) con il quale pretendeva di deliziare i suoi ospiti. Non abbiamo notizie che la cosa fosse loro gradita. Al Garibaldi piaceva anche il caffé, e questo è normale: quello che invece non lo era e che ne usava i fondi per scurirsi la barba. Un vezzo nel quale si cela quella voglia di non invecchiare e non darsi per vinto che ha sempre animato l’eroe dei due mondi.

Ma quello a cui il condottiero tricolore non avrebbe mai rinunciato era il the dopo il pasto. Si preparava dei beveraggi da portata che consumava lentamente. L’estate poi combatteva la sete con l’orzata.  Da questo elenco di bibite soft ne viene fuori un personaggio da gusti sobri, come in fondo lo era, poco avvezzo all’alcol, il che è anche vero, ma con qualche eccezione. Al Garibaldi, come al Cavour, il Marsala piaceva assai, e più era dolce, e più gli piaceva, tanto che questo suo gusto è passato agli annali. Ancora oggi si commerciano bottiglie di Marsala con su stampigliata la scritta DG, che sta per Dolce Garibaldi: ovvero dolce come piaceva al Generale. L’altro liquore che non disdegnava era il limoncello, almeno stando a quanto riportano le cronache del suo soggiorno a Napoli che visse al termine della storica spedizione dei mille, con la quale praticamente unì l’Italia. Le cronache partenopee del Garibaldi registrano però un altro aneddoto, questo più gastronomico e che ben si concilia con la piccola storia che vogliamo raccontare: quella della bevande, ma anche quella dei luoghi e dei locali nei quali poi avrebbe preso corpo la socialità e anche l’identità degli italiani.

 

Una Pizza per un Regno 

1861-1.jpgLa storiella per certi versi ha dell’incredibile, ma forse non tanto, considerando la semplicità, il pragmatismo, l’assoluta mancanza di formalità che apparteneva al Peppino nazionale.

E’ il mattino del 26 ottobre 1860, Garibaldi e Vittorio Emanuele II si incontrano a Teano per il passaggio delle consegne. E la consegna riguarda un intero regno: quello delle Due Sicilie conquistato da Garibaldi con i suoi Mille che veniva praticamente regalato a casa Savoia. La pratica fu  sbrigata senza suoni di fanfare, i due si incontrarono lungo la strada e non scesero nemmeno da cavallo, percorsero un pezzo di strada insieme, parlottarono con frasi di circostanza e poi si congedarono. Racconta un testimone oculare, un fedelissimo del generale, tale Alberto Mario, che subito dopo l’incontro diplomatico, il generale con i suoi uomini si fermò a mangiare in una pizzeria dei paraggi, che poi era anche uno stallaggio. Mario così descrive la scena: “Su una pancuccia a due passi dalla coda del suo cavallo, mangiava di fronte a un barile di acqua sul quale gli avevano apparecchiato, una bottiglia di acqua del pane schiacciato con sopra del cacio.”

Alberto Mario non lo sapeva, perchè non le conosceva, ma quelle che mangiava Garibaldi erano pizze: cos’altro potevano essere, in Campania, delle schiacciate di pane con su del formaggio?

Delle Pizze per un Regno, dunque. Senza volerla sminuire, la pratica Italia si concluse in un pizzeria. Un segno del destino? A posteriori non possiamo che dire si: la pizza, 150 anni dopo, sarebbe stato il piatto più consumato dagli italiani, e la pizzeria un locale diffusissimo e frequentatissimo da gente di tutte le estrazioni sociali e in ogni angolo della Penisola: dal Nord al Sud, dalla Valle d’Aosta alla Valle dei Templi.

Siamo, in fondo, quello che mangiamo circostanza nella quale l’Italia è unita più che mai.  

 

La birra di Mazzini 

mazzini_giuseppe.jpgE ai giorni nostri, con la pizza è d’obbligo tirare in ballo anche la birra: infatti il 70% degli italiani adulti quando consuma una pizza preferisce accompagnarla con una spumeggiante birra.

E di birra parliamo chiamando in causa il quarto, ma non ultimo, Padre della Patria, Giuseppe Mazzini. Il rivoluzionario e filosofo fondatore della Giovine Italia promulgava, lo sappiamo, una politica alternativa: lui dell’Italia voleva farne una Repubblica. Forse anche per questo preferiva una bevanda altrettanto alternativa come per quei tempi era la birra.

In questo lato del beverage mazziniano emerge un personaggio in antitesi con quella che è l’oleografia ufficiale, che ci riporta un figura un poco cupa e triste, assorta e pensosa,  almeno stando a vedere i suoi ritratti e le sue fotografie. Eppure è certo, Giuseppe Mazzini, il “volto che giammai non rise”(come veniva descritto da Carducci), era un appassionato birrofilo e un fine intenditore della bevanda di Gambrinus e, con gli altri patrioti, faceva a lungo bisboccia nei pub di Londra, città nella quale fu per lungo tempo in esilio proprio per le sue idee politiche, e anche perché aveva ben due condanne sul groppone.

Le notizie del Mazzini birrafondaio sono avvalorate dalla recente scoperta di un fitto scambio di corrispondenza che l’ispiratore di Pensiero ed Azione ebbe per lunghi anni con una certa di Katherine Hill, fervente sostenitrice della causa italiana negli anni londinesi del patriota.

In una lettera suggerisce lui stesso, nero su bianco di scegliere la birra della Swan Brewery, realizzata in una delle principali birrerie londinesi, di proprietà dei mazziniani Sydney Hawkes e James Stanfeld: un locale che era diventato, con Mazzini cliente fisso, una specie di punto di riferimento della cospirazione italiana. E quindi, anche in questi pub, in questa sorta di locali serali, parenti non troppo alla lontana degli attuali lounge bar, ha preso corpo e vita il nostro Risorgimento.

Il gusto di Mazzini per la birra era certamente soddisfatto anche in Italia, a Genova, in special modo, dove più volte, anche se clandestinamente si recava.

Genova, sin da allora, grazie alla sua storia e alla sua ubicazione geografica, era la città più internazionale del nostro Paese in erba. Il suo porto era il punto di incontro di merci, uomini e culture, e nei tanti localini ubicati nei carrugi la buona birra non mancava di certo. Non per nulla  Genova , ancora oggi, è un punto di riferimento in tal senso, nonché sede di fior di importatori e di multinazionali birraie.

L’Italia Unita del Beverage 

Questo breve e senz’altro imperfetto omaggio che abbiamo voluto fare al mondo delle bevande in occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, nasce da una convinzione: l’Italia e gli italiani sono più uniti perché, senza forse volerlo, hanno saputo miscelare e apprezzare le tante e diverse bevande che hanno caratterizzato, e ancora caratterizzano, i gusti e le tradizioni della nostra variegata penisola: dal Bicerin al Marsala, dai sabaudi cocktail ai garibaldini elisir, dal barolo alla birra e con esse, chissà quante altre bevande che abbiamo mancato di citare. E di ciò ce ne scusiamo.

Ma un fatto è certo: nel DNA della nostra nazione scorrono anche le bevande, come abbiamo visto, andando a spulciare fra il serio e il faceto nei gusti degli eroi del risorgimento, perché il bere, oltre che un bisogno fisico è da sempre, per l’uomo (e per gli italiani un po’ di più), un bisogno sociale e, nella giusta misura e nei giusti modi, anche un imprescindibile rito nel quale accomunarsi e ritrovarsi.

Un rito nel quale gli italiani sono cresciuti e si sono ancor più uniti.

Un’unità che, come abbiamo più volte ripetuto in questo scritto, ha preso ancor più corpo e sostanza

in quei locali dove le bevande si usavano (e si usano) consumare: dagli eleganti caffé torinesi alle fumose locande genovesi, dalla pizzerie campane, agli aristocratici ristoranti sabaudi.

Oggi li chiameremmo i locali HoReCA, ce ne sono ben 240.000 in tutta la Penisola, luoghi di ritrovo e di ristoro nei quali anno dopo anno si è innervata la nostra socialità e la nostra italianità.

Sicchè oggi in un bar con in mano un cordiale, o sorseggiando un caffè, in una pizzeria con dinanzi a una fumante margherita e una spumeggiante birra, ci si sente senz’altro più italiani.

Luoghi di ritrovo e di socialità più che mai perfetti per festeggiare questo nostro 150esimo compleanno, ideali per alzare i calici e brindare con orgoglio alla nostra bella Italia.

Giu.Ro.

POTREBBERO INTERESSARTI ANCHE

15/01/2025

Paola Donelli è la nuova Frontline Activation Marketing Director di The Coca-Cola Company per Italia e Albania. Nella sua nuova veste, dovrà coordinare il team che gestisce le strategie di...

14/01/2025

Nuovi pack dei succhi di frutta Yoga, nuova gamma di polpe Triangolini Valfrutta ed edizione speciale dei Frullati Veggie: sono solo alcune delle novità che Conserve Italia porterà alla  21ª...

13/01/2025

C'è un nuovo manager alla direzione del Consorzio Vino Chianti: dal'1 gennaio 2025 Saverio Galli Torrini è subentrato a Marco Alessandro Bani. Quasi quarant’anni d’età e un percorso...

10/01/2025

Il Consiglio dei Ministri, su proposta di Adolfo Urso, Ministro delle Imprese e del Made in Italy, ha avviato l’esame di un disegno di legge annuale sulle piccole e medie imprese. Nell’ambito...



Quine srl
Direzione, amministrazione, redazione, pubblicità

Via Spadolini 7 - 20141 Milano
Tel. +39 02 864105 | Fax +39 02 72016740 | P.I.: 13002100157
Copyright 2025 - Tutti i diritti riservati - Responsabile della Protezione dei Dati: dpo@lswr.it

Top