Parliamo del mercato delle bevande vendute nel canale Ho.Re.Ca. Conto più, conto meno, il valore di questo mercato è pari ad 7 mld di euro annui. Tanto infatti fatturano, complessivamente, coloro che distribuiscono bevande. Nel conto ci sono tutti. A cominciare dai distributori indipendenti che hanno una quota di mercato del 67% per € 4.7 mld di fatturato. 1800 aziende di cui circa il 50% raggruppate in compagini consortili. Poi c’è la Distribuzione Integrata (o partecipata) che detiene una quota del 7%; poi ci sono i grandi player della Distribuzione Organizzata, Cash&carry come Metro, con una quota del 17% pari a € 1.2 mld; infine, a completare il quadro, bisogna mettere anche le grandi insegne della distribuzione moderna, con una quota del 9%, le quali (data la conclamata frenata dei consumi in casa) sempre più frequentemente sconfinano nel canale Ho.Re.Ca attraverso adeguamenti consistenti del loro sistema d’offerta.
Or dunque, spaccata la torta, se da un lato i distributori indipendenti fanno (tutt’insieme) ancora la maggioranza (41% ad appannaggio dei distributori associati a gruppi consortili e 26% per i distributori indipendenti ma non associati ad alcun gruppo), è anche vero che la loro quota negli ultimi 10 anni è calata drasticamente. In altri termini, la categoria dei distributori indipendenti di bevande non cresce più: gli altri sì (Distributori partecipati, D.O. e G.DO.) gli indipendenti invece, no.
Houston, abbiamo un problema!? Sì, e pure bello grosso.
E allora se un tempo il caro vecchio grossista era (quasi) il padrone del mercato, ora è costretto a giocare in difesa. Una lotta che deve fare con il coltello fra i denti, mentre i concorrenti hanno in dotazione i bazooka. La partita è di quelle toste, dove al problema del minor potere negoziale verso i produttori rispetto ai player più strutturati, si aggiungono, tra gli altri, difficoltà organizzative, orgoglio personale e limiti culturali. Inoltre la distribuzione indipendente è ancora troppo parcellizzata, troppe aziende poco strutturate che fanno fatica in una competizione senza quartiere. Questo contesto, già di per sé molto complicato, è ulteriormente aggravato da un passaggio generazionale difficilissimo, spesso gestito sulla spinta di necessità naturali impreviste, dove il famoso “padre distributore” è sempre molto reticente a cedere il bastone del comando. Un freno che inibisce la crescita professionale, fattore assolutamente imprescindibile in un settore che non concede tregua né indugi. “Più manager e meno facchini”, questa è la richiesta di un mercato che ha bisogno di strateghi capaci di analisi, di ricercare nuovi e più redditizi prodotti, di fornire servizi esclusivi e più evoluti, e non di mestieranti capaci solo di ripetere incessantemente formule imprenditoriali vecchie di cinquant’anni, salvo poi piangersi addosso per i margini che non ci sono e per i crediti che non si incassano, i cui costi finanziari devastano i conti economici.
Sovranista senza regno
Ma forse la tara più grande della categoria è quella di un vision ormai superata, ancorata a sbiadite foto in bianco e nero che raccontano un’Italia che non c’è più, tanto idealizzata quanto, probabilmente, mai esistita, quando si era i domini del mercato. Adesso, invece, il mercato cambia in fretta: nuove tecnologie, nuovi sistemi, nuovi format, dove nuovi e più aggressivi competitor inserendo il dynamic hanno più velocità di reazione, mentre il caro vecchio grossista mantiene il passo bucolico dell’avvicendarsi delle stagioni, senza capire che la “stagione” è una limited edition dell’anno, nulla più. Quello che valeva solo 10 anni fa, oggi vale un fico secco e fra un lustro sarà rimasto solo il “secco”, perché anche il “fico” se ne sarà andato. In altri termini il caro vecchio grossista è una specie di “Sovranista” (come alcuni nostri politici), ma non si rende conto che il regno è sempre più nelle mani degli altri. Inconsapevole (si spera non tutti) che Il “Sovranismo” porta all’Isolazionismo, ad una incomunicabilità che non aiuta, anzi diventa il fattore deleterio in un mercato, come l’Ho.Re.Ca, sempre più open e allo stesso tempo connesso e in rapida evoluzione.
Politica made in Italy
Parlando di sovranismo e di isolazionismo il pensiero va inevitabilmente a quanto una certa nostra classe politica ultimamente strilla. E sotto gli occhi di tutti, nel luna park Italia, come l’economia vada su e giù in balia di una vorticosa giostra dove il giostraio è (al momento) distratto in attività di volantinaggio promozionale con elargizione di biglietti omaggio. Ticket come “reddito di cittadinanza”, “quota cento” e altre promessucce elettorali che drenano e dreneranno risorse preziose; ultimi spiccioli di una ricchezza (quella Italiana) che è sempre più compromessa. E se i politicanti esultano in TV perché nel primo trimestre di quest’anno si è registrata una crescita del PIL dello 0,2%, hanno dimenticato di dire che a fine febbraio il debito pubblico ha toccato il nuovo poco invidiabile record di 2.363,68 miliardi di euro. Una somma spropositata che al suo interno contiene enzimi misteriosi e miracolosi, visto che è stata capace di lievitare di 200 milioni nel solo mese di gennaio. A parte la crescita dello 0,2% che fa solo ridere (gli altri paesi europei viaggiano ad almeno un punto più del nostro) la penosa domanda è: dove andiamo con questo buco nero che ingoia, divora, travolge, stravolge risorse e futuro?
Con una tattica di depistaggio degna della CIA, i nostri governanti buttano la croce addosso all’Unione Europa, matrigna cattiva che con i suoi vincoli e i suoi diktat non permette di dare fondo allegramente alle risorse che non abbiamo. Invocano sovranità e decisioni autonome, e allora tutti addosso all’Europa, dimentichi degli impegni presi e del debito che ci tiene per i cosiddetti gabbasisi. Camilleri Docet.
Il problema sarà anche (in parte) l’Europa, le cui politiche sono a volte cervellotiche e non tengono conto delle realtà (vedi ad esempio le ultime direttive sulle restrizioni della plastica monouso per i prodotti alimentari che potrebbero mettere in ginocchio un intero comparto) ma la soluzione dei problemi non è certo il “Sovranismo” che, inevitabilmente, porta all’isolazionismo, dove l’isolazionismo è l’anticamera della fine.
S.I.C.
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