02 Maggio 2011

Italgrob.it intervista Pasquini


pasquini-foto.jpgLeopoldo Pasquini, da buon toscano, è personaggio schietto, dall’eloquio diretto e senza fronzoli. In questa intervista, insieme alle sue idee chiarissime, emerge la sua esperienza di lungo corso e soprattutto una certosina passione per il mestiere di grossista.

Cominciamo con il parlare della crisi: nei prossimi cinque anni, se tutto va bene l’economia italiana crescerà di un misero 1% l’anno. Troppo poco, quasi niente per sostenere un mercato complesso come lo è quello dell’Ho.Re.Ca. che richiede continua innovazione e quindi investimenti.  Cosa deve fare l’industria, cosa può fare il grossista per affrontare un futuro che andrà a scartamento ridotto?

Anzitutto dobbiamo prendere atto che viviamo in un Paese che non cresce più e che specialmente nei consumi pro-capite non potrà più crescere. Sicché, quello che c’è da fare è tarare le proprie aziende, industria o ingrosso che siano,  su questo stato di cose. L’industria già lo fa: infatti negli ultimi tempi dosa attentamente i volumi produttivi in funzione di quelli che sono i consumi reali.

E i grossisti?

Il grossista deve darsi da fare e compiere un’ulteriore evoluzione concentrandosi come forse non ha mai fatto sin d’ora sull’ottimizzazione dei propri costi di gestione e la soddisfazione del cliente.

Cioè a dire?

Voglio dire…Preso atto che il fatturato non potrà aumentare, se non andando a rosicchiare il fatturato di altri, deve andare a ricercare quanto il mercato gli nega, in termini di margini assoluti, all’interno dei propri costi di gestione; rivedere e ottimizzare ogni particolare aspetto della propria azienda: gestione, logistica e assortimenti, e tutto quanto necessario per essere un`azienda orientata al cliente in termini di servizio e consulenza, tenendo sempre presente il miglior rapporto qualità-prezzo.

Insomma deve creare efficienza. Chi riuscirà a farlo potrà guardare con fiducia anche oltre questi anni di stagnazione che ci attendono.

A proposito delle aziende di ingrosso e dei suoi comparti fondamentali, gestione, logistica, assortimento e commerciale, in quali di queste aree il grossista italiano (mediamente) è più debole, e perché?

Non vi sono dubbi: nel commerciale, e questo per via, e non mi vergogno a dirlo, di quella risaputa e annosa disparità di acquisto che esiste fra il canale tradizionale e il canale moderno. Non è possibile presentarsi ai propri clienti, ai pubblici esercizi, con, una differenza, in alcuni casi, di prezzo che sfiora il 20% e a volte di più. Sul mercato questo è inammissibile e quindi siamo deboli.

Questo comporta anche una mancanza credibilità verso i punti di consumo.

Certo, è uno scarto ingiustificabile, che purtroppo esiste, ma che tutti fanno finta di non sapere. Mi riferisco a quell’industria che attua questa politica della disparità di prezzo. Ultimamente abbiamo cominciato a pubblicare, con scontrini e volantini alla mano, i prezzi che vengono attuati nella GDO. Il paradosso è che la stessa industria fa la gnorri e sembri che caschi dal pero: “Non è possibile” dice, oppure “ma sarà una promozione una tantum” , “hanno deciso di vendere sottocosto, noi non possiamo farci nulla”...  ma signori, cerchiamo di essere più seri! Nella GDO e nei C&C, per tutto l’anno è un via vai di grossisti che trovano più conveniente andare a comprare li che non direttamente dall’azienda.

E’ quindi questo il punto di debolezza più serio dei grossisti italiani?

Decisamente si, perché, per quanto riguarda gli altri aspetti, il grossista italiano sa far bene il suo lavoro e, per quanto riguarda il contenuto di servizio, è imbattibile. Ma per quanto concerne prezzo, torno a dire è la nostra piaga.

Mi scusi, ma perché i consorzi Italiani, e ce ne sono alcuni con tanti soci e un fatturato aggregato molto rilevante, non riescono a spuntare le stesse condizioni di acquisto che invece porta a casa la GDO. Dove sbagliano i consorzi nei loro accordi commerciali?

Lo dico brutalmente: quando l’industria va nella grande distribuzione incontra un unico buyer,  e quindi – come dire -  ha una sola porta per entrare e una sola porta per uscire. Quando invece va nelle sedi dei consorzi, e questo mi dispiace dirlo, ma è la realtà e spero cambi quanto prima, entra sempre da una sola porta ma poi ha cento finestre dalle quali poter uscire.

Si spieghi meglio…

Nel senso che il buyer della GDO dispone e decide lui quando, come e quanto di quel prodotto inserire in tutta la catena per la quale ha fatto l’accordo. Con i consorzi invece non è così: i soci in periferia dispongono loro dei propri assortimenti e questo consente all’industria di andare in periferia ad imporre idee, condizioni e quant’altro.

Bel problema. C’è una soluzione? Per esempio San Geminiano, da tempo, porta avanti la politica dei prodotti a marchio. Dall’alto della sua esperienza è questa la strategia per competere con la GDO e salvaguardare mercato e marginalità?  

E’ sicuramente uno strumento efficace: offrire prodotti in esclusiva dà un vantaggio al grossista ma anche agli esercenti clienti che possono proporre ai propri clienti prodotti esclusivi e di qualità senza la possibilità di attuare un confronto di prezzo.

E questo, è indubbiamente un vantaggio ma quello di creare un assortimento di prodotti a marchio è un processo lungo e costoso. Quanto tempo ha impiegato San Geminiano per affermarsi con i suoi brand?  

Ci sono voluti vent’anni!

Accidenti, sono tantissimi.

Si, è vero, ma mi creda, ne valeva la pena.

Parliamo ancora di ingrosso. E’ risaputo che la categoria in termini numerici è in decrescita: se dieci anni fa in Italia operavano 7000 aziende, oggi come oggi non si va oltre le 2000. La domanda è: vi è una dimensione ottimale, in termini di volumi d’affari per poter competere al meglio sul mercato attuale?

No, non è una questione di dimensioni. Io penso che un grossista che fa parte di un gruppo serio e importante, dico anche come San Geminiano per fare un esempio, e che sa impostare la sua azienda su quella che è la realtà del suo mercato di riferimento, può competere sia che fatturi un milione di euro, piuttosto che dieci milioni. Non è una questione di volumi ma direi di equilibri e capacità di management.

Cosa può e deve fare di più la Federazione Italgrob per essere sempre più al passo con le esigenze dei distributori italiani?  

E’ una domanda molto, molto complessa. Per semplificarla dico che secondo me la Federazione dovrebbe avere due ruoli e assolvere due compiti fondamentali.

Il primo più politico - sindacale per affrontare problematiche come gli ingressi nei centri storici, i rapporti con le istituzioni e le battaglie legislative che ci riguardano. Il secondo è un ruolo, diciamo più economico, finalizzato a un confronto forte, serrato e incisivo nei riguardi di quell’industria che pratica le disparità di prezzo di cui abbiamo parlato prima.  

Scusi Pasquini: ma non ci sono troppi consorzi in Italia?

Forse i consorzi sono troppi, ma non voglio entrare nel merito della numerica. Detto sempre, brutalmente, basterebbe che fra gli stessi ci fosse una maggiore condivisione d’intenti. Insomma, per farla breve, dobbiamo avere la voglia e il coraggio di incontrarci per confrontarci seriamente sul futuro della nostra categoria. E dobbiamo farlo mettendo da parte gli interessi di bottega, smussando le personalità cercando di guardare al domani della nostra categoria.

Quindi, troppi consorzi e ognuno per se?

Ripeto, non è una questione di essere troppi o pochi: i gruppi si sono formati e continuano a formarsi in virtù di storie commerciali e per rispondere alle esigenze di un determinato mercato, e questo è normale. Quello che invece dobbiamo fare è imparare a parlare tutti la medesima lingua. Quindi invito i miei colleghi presidenti dei consorzi a un confronto serio, corretto, da qual far nascere una strategia comune. E, ripeto, negli interessi di tutta la categoria, soprattutto per guardare al futuro con più fiducia.

Quindi lei è un ottimista e crede nella categoria, ma ci tolga una curiosità: se dovesse tornare indietro, tornerebbe a fare il mestiere di grossista di bevande?

Si, sono ottimista e credo nella categoria, che è sana e fatta di gente che ha ancora tanta voglia di far bene al servizio ed a sostegno di questo canale. E, per quanto mi riguarda... Certo, se potessi tornare indietro farei esattamente tutto quello che ho fatto, ripeterei le mie scelte. Non foss’altro per tornare al 1967, quando cominciai, così potrei riprendermi anche i miei vent’anni.

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