Vi siete mai chiesti cosa succede alla neve quando si posa? E quando poi si scioglie? Queste domande rappresentano il cuore del nuovo progetto di ricerca scientifica intrapreso da Levissima in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano che ha proprio l’obiettivo di studiare la NEVE, da sempre simbolo di purezza e risorsa idrica fondamentale, e scoprire come si evolve durante le stagioni. In particolare, i ricercatori si focalizzeranno sulla neve che riveste il Gruppo Dosdè-Piazzi, situato in un’area di grande valenza naturalistica ed ambientale in alta Valtellina, per capire quanta acqua, proveniente dalla sua fusione, va ad alimentare i bacini idrici di alta quota e i torrenti di media e bassa quota.
Il Gruppo Dosdé-Piazzi, da dove trae origine l’acqua Levissima, infatti è ormai considerato un vero e proprio “laboratorio a cielo aperto” per lo studio e le ricerche sulla criosfera dove si sono già indagate le masse glaciali e il permafrost.
Analizzare e studiare il manto nevoso rappresenta il naturale prosieguo di quanto intrapreso da Levissima e l’Università degli Studi di Milano a partire dal 2007: dallo studio del ghiaccio di superficie, visibile a occhio nudo, all’analisi e allo studio del permafrost - il ghiaccio nascosto nella roccia e nel suolo -, per arrivare oggi allo studio della neve, la cui evoluzione ha delle strettissime relazioni anche con il permafrost alpino. Infatti, il tempo di permanenza della neve sui terreni di alta quota influenza anche l’evoluzione del permafrost alpino: annate con scarse precipitazioni nevose vedono un forte raffreddamento della superficie rocciosa e del suolo e un conseguente aumento dello spessore del permafrost; viceversa annate caratterizzate da abbondanti nevicate, persistenti sulla superficie del ghiacciaio sino a tarda primavera, favoriscono un più lento raffreddamento limitando lo spessore del permafrost.
“La neve che cade sui nostri ghiacciai d’inverno se supera la stagione estiva si trasforma in ghiaccio” - afferma il Professor Claudio Smiraglia dell’Università degli Studi di Milano - “Proprio per questo è importantissimo poter valutare l’accumulo nevoso (che rappresenta l’alimentazione indispensabile per la sopravvivenza del ghiacciaio) e la sua evoluzione durante gli anni e le diverse stagioni; questo serve anche per poter definire le variazioni di volume del ghiacciaio, cioè il suo bilancio di massa”.
”Siamo orgogliosi del lavoro di ricerca svolto fino ad oggi con l’Università degli Studi di Milano, e siamo convinti che anche quest’anno lo studio rappresenterà un successo da un punto di vista scientifico e ci permetterà di sensibilizzare ancora una volta l’opinione pubblica sull’importanza della risorsa acqua e dell’ambiente, più in generale” - afferma Daniela Murelli, Direttore CSR del Gruppo Sanpellegrino di cui Levissima fa parte - “I dati che andremo a rilevare attraverso le analisi e le sperimentazioni dei ricercatori forniranno alla comunità scientifica nazionale e internazionale informazioni estremamente preziose e utili per aggiungere un ulteriore tassello alla conoscenza delle nostre montagne e dell’acqua nei suoi differenti stati e forme: neve, ghiaccio e liquido”.
I recenti studi sugli effetti del Cambiamento Climatico in atto hanno evidenziato che tra gli impatti attesi, oltre alla riduzione dei ghiacciai e la fusione accentuata ed accelerata dello strato attivo del permafrost, è prevista anche una diversa distribuzione spaziale e temporale delle nevicate. Questo significa che potrebbero modificare in maniera significativa i deflussi idrici primaverili ed estivi e quindi le portate dei torrenti e dei fiumi, ma non solo; potrebbero modificare in maniera rilevante anche la dinamica glaciale e del permafrost alpino. Il team di ricercatori, con l’importante contributo delle guide alpine “Alta Valtellina”, sarà così impegnato sul campo per svolgere campagne di monitoraggio del manto nevoso a partire dal mese di maggio: attraverso appositi “carotaggi” verranno misurate le caratteristiche fisiche e, attraverso una sofisticata strumentazione detta georadar, verranno rilevati gli spessori del manto nevoso; mentre, in laboratorio, verranno analizzate le immagini satellitari utili a descrivere la copertura nevosa e le sue variazioni nel tempo.
Come si svolgono le indagini sul campo?
Si tratta di una tipologia di indagini ancora poco diffuse in ambito alpino che permetteranno di mappare con continuità lo spessore del manto nevoso presente e di calcolare accuratamente il contributo della neve all’alimentazione dei ghiacciai e al deflusso idrico stagionale.
In concreto, su un’area campione – estesa qualche chilometro – verranno effettuate prospezioni geofisiche utilizzando onde elettromagnetiche che attraversano il manto nevoso, vengono riflesse dal substrato di suolo, roccia e ghiaccio e poi ritornano allo strumento che le ha generate. I dati così raccolti consentiranno di conoscere la quantità di acqua disponibile stagionalmente ed annualmente a seguito della fusione della neve.
“Una volta conosciuta la distribuzione spazio-temporale della neve per l’anno di monitoraggio” – conclude il Professor Claudio Smiraglia. “si potranno stimare le nevicate future sulla base degli scenari climatici per quantificare l’acqua disponibile sulle nostre montagne”.
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