“Qual è la differenza tra un bicchiere d’assenzio e un tramonto” recitava Oscar Wilde, abituale consumatore della famosa bevanda ribattezzata da Rimbaud la “fata verde”, per il classico verde pallido che lo contraddistingue da tutti gli spirits presenti sul mercato; probabilmente lo scrittore irlandese faceva riferimento all’ebbrezza che la fata riusciva a suscitare negli occhi e nella testa di chi decideva di sperimentarne gli effetti; “le colline smeraldine” di Rimbaud, presso cui i pellegrini cercano ristoro, le citazioni Baudelairiane ne “I fiori del male”, le odi tessute dai più grandi artisti, decadenti e non, del XIX secolo (Gaugin, Picasso, Verlaine, Monet per citarne alcuni) attestano la diffusione della misteriosa bevanda nei più importanti caffè francesi, come guida folle nella ricerca di realtà mutabili. Sembra incredibile in questo senso che già nel 150 A.C. Plinio e Plutarco attestino la presenza e l’utilizzo della bevanda come fertilizzante per i campi, anche se già il filosofo greco attingeva dal suo bastone-recipiente la bevanda ristoratrice.
Ad alimentare le leggende relative alla fata ci sono racconti di alcuni documentati episodi allucinogeni: si narra che Van Gogh si sia tagliato un orecchio in preda ad una “intossicazione di assenzio” e che in Francia l’assassinio di una donna ad opera del proprio marito stregato dalla “fata verde”, abbia inesorabilmente indotto il governo a proibire definitivamente la produzione dell’intruglio nel 1912; in realtà la frenata imposta nel territorio francese è figlia di una politica atta al rilancio del vino che, negli anni immediatamente precedenti la Grande Guerra, era stato soppiantato dall’assenzio quale bevanda della cultura dei caffè parigini. Ciò era in parte dovuto ad anni di inaridimento dei vigneti, a causa di un piccolo insetto, la fillossera, che decimò le radici delle viti in tutta la Francia.
Lo stato confusionario con cui la fata abbraccia il suo bevitore viene loquacemente descritto da Alfred Delvau: “L`ubriachezza che dà non assomiglia a nessun`altra di quelle conosciute. Non è l`ubriacatura pesante della birra, né quella feroce dell`acquavite e neppure la gioviale ubriachezza del vino... No, l`assenzio vi fa girare la testa alla prima fermata, vale a dire al primo bicchiere, vi salda sulle spalle un paio di ali di grande portata e si parte per un paese senza frontiere e senza orizzonti ma anche senza poesia e senza sole”.
Cos’è dunque l’assenzio? Un liquore molto forte, circa 68% di gradazione, verde smeraldo e verde chiaro, composto da alcol a 95°, anice, bacche di cardamomo, coriandolo maggiorana, ma soprattutto da artemisia absinthium, una pianta diffusissima nella fascia mediterranea, e quindi anche in Italia; in seguito ai processi determinanti per arrivare al prodotto finito, otterremo un liquore con una gradazione alcolica che si attesta intorno ai 70°. Lasciando da parte del tutto gli impieghi medicinali storici dell’assenzio, esso contiene una sostanza chimica chiamata tujone, che è molto simile alla sostanza chimica attiva nella canapa indiana, THC (tetraidrocannabinolo). Studi fatti sul tujone affermano che un uomo per poter andare incontro a conseguenze gravi per la sua salute dovrebbe ingerire 100mg/kg per litro di tujone in un giorno, ciò equivale a circa 100 litri d’alcol al giorno. Oggigiorno, il tujone è una sostanza controllata nell’ambito dell’Unione Europea. Il contenuto di tujone nell’Assenzio rientra in questi parametri legali.
Principalmente due sono i modi classici per bere l’assenzio: il metodo parigino, consistente nel diluire una zolletta di zucchero con acqua, versando 2cl di assenzio in un bicchiere conico e sovrapponendo un cucchiaio bucherellato sul quale porre la zolletta; c’è poi il metodo bhoemian, dal territorio ceco di Boemia, in cui dal 1920 iniziò la produzione di assenzio successiva al proibizionismo francese; questo è un metodo flambè, nel senso che bicchiere, cucchiaio traforato, zolletta restano elementi imprescindibili, ma quest’ultima viene impregnata di assenzio e accesa; dopo una breve caramellizzazione dello zucchero, si versa acqua che smorza le fiamme e s’immerge la zolletta nell’assenzio.
Metodo officinale utilizzato in antichità, fertilizzante per campi, magico intruglio allucinogeno, l’assenzio si differenza dagli spirits per i contorni incerti che da sempre ne arricchiscono la storia; di certo chiunque si appresta a conoscere questa fatina da 70°, deve prepararsi ad un incontro con storia leggenda ed emozioni assolutamente personali ed uniche, al pari di un tramonto in una città che fu. Allacciando le cinture dunque, prepararsi alla partenza…
Bartolomeo Malerba
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