Meno consumi, da parte del cliente scelte più accorte e, come ciliegina sulla torta, leggi sul tasso alcolico; una torta, il mondo fuori casa, in cerca di nuovi stimoli per mantenersi competitivo, attraente per la clientela, in definitiva, per rimanere sul mercato senza tagliare i costi a scapito della qualità.
Ad affrontare questi temi la recente tavola rotonda, tenutasi presso la sede milanese de Il Sole 24Ore, in occasione della presentazione della Guida ai Ristoranti curata da Davide Paolini. Il titolo della tavola rotonda è il cuore del tema affrontato, un’articolata domanda, essenziale: “Una gestione innovativa del vino, più attenta al cliente e meno alle guide, con scelte al calice e una cantina contenuta, può alleggerire il conto finale di una ristorante, in tempo di crisi?”.
A cimentarsi nella risposta Luca Gardini, sommelier campione del mondo, Luciano Ferraro del Corriere delle Sera, Bruno Petronelli di “Spirito di Vino”, il direttore del Four Season di Firenze Fabrizio Cipollini e i produttori vinicoli Ornella Venica e Ampelio Bucci, moderati dallo stesso Paolini.
Luciano Ferraro ha contribuito alla discussione parlando della vecchia logica delle carte dei vini, poco tarata sul cliente e sulla nuova situazione economica. L’opzione del vino, al ristorante, deve essere in qualche modo resa dinamica: «Se il modo di stare a tavola e di spendere i soldi al ristorante è cambiato, non sono però cambiate le carte dei vini. Enciclopediche, costruite con la logica di grandi nomi a grandi prezzi e delle etichette di moda, spinte dalle guide. Ma i clienti-tipo, quelli che non sono massimi esperti in materia, già sono pochi e conoscono pochi vini di questa carta enorme, che pesa sui costi della cantina. Stappare di più per far conoscere di più è un primo passo pratico, con uno sforzo di fantasia: ad esempio, proporre dei temi, un mese dedicato a questi vini al bicchiere, il successivo ad altri... e intanto la cantina gira».
Il vino va spinto al ristorante con intelligenza. Un locale di fascia media non può proporre grandi etichette inarrivabili. Meglio vini medio alti che però, per essere ordinati, devono essere conosciuti, ovverosia “comunicati” al cliente
Petronilli su questo punta afferma «Cosa paga? La qualità comunicata: una carta corta selezionata da qualcuno che poi è in sala a proporlo. Gli errori passati, fatti di grandi investimenti in cucina e scarsi in sala, non possono più essere ripetuti: il cliente è in sala e in sala ci deve essere una persona che sappia come interfacciarsi con lui».
Al centro del rapporto fra cliente e vino, dunque, c’è il sommelier, preparato, ma capace di spiegare le doti di un vino e il perché vale la pena provarlo con un certo menu. Luca Gardini spiega che il sommelier è utile in ristorante: «Un sommelier bravo, capace di gestire le proposte con il focus sul rapporto qualità/prezzo, versatile, offre una impostazione concettuale diversa, che parte dall’alleanza con i produttori».
Fabrizio Cipollini e Ampelio Bucci sottolineano poi che, il servizio al bicchiere, significa talvolta un vino stappato e non consumato, dunque un costo. Meglio un servizio innovativo, come condividere la stessa bottiglia in più tavoli, o creare un servizio al bicchiere generico, con la scelta del vino da stappare in base alla serata. Si può proporre un servizio diverso con il piatto del giorno con il vino del giorno, o una "temporary wine list" come quella proposta da Gardini che spiega come si può «creare un’offerta con 10 vini fissi e 30 referenze che ogni mese cambiano - cosa che - aiuterebbe ad evitare ristagni in cantina, ad acquistare il giusto in termini di quantità e di più in varietà, facendo contenti più produttori; la cantina gira, i costi di riducono e il cliente si incuriosisce e ritorna, perché sa che può assaggiare cose diverse e capirle grazie al sommelier, che ha lavorato bene in sala e in cantina».
La parola d’ordine, in sintesi, è innovare il servizio, la carta dei vini a sé stante non può funzionare da sola.
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