La festività più importante dell’anno è senza dubbio il Natale. Per celebrare nel modo migliore questa occasione esistono prodotti creati appositamente che infatti nel resto dell’anno non sono disponibili. La birra appartiene a tale ambito.
Indicata con i nomi più svariati (Bière de Noël, Christmas Ale, Weihnachtsbier, Julebryg, Jouluolut, Noche Buena), la Birra di Natale non è una vera e propria tipologia ma in ogni caso si tratta di un prodotto ideato espressamente per un consumo invernale.
Non necessariamente la Birra Natalizia è prodotta ad alta fermentazione come tradizione vuole, non sempre ha una gradazione elevata o addirittura elevatissima come è costume plurisecolare, però una caratteristica che accomuna le varie birre create per celebrare la natività del Bambin Gesù esiste: non è praticamente mai di colore chiaro. Le sue cromie spaziano da un bel color ambrato ricco di riflessi bronzei e ramati a tinte decisamente più scure, che svariano dal tonaca di frate al color torba, dal cioccolato fondente al nerofumo londinese.
Inoltre i mastribirrai sotto le feste diventano straordinariamente creativi e alcune loro birre evidenziano più fantasia di Walt Disney. Le sensazioni olfattive e gustative si allargano come una fisarmonica e gli aromi e i sapori sprigionati da queste birre fanno l’occhiolino ad abbinamenti inconsueti e curiosi, originali e invitanti. Teniamo presente che il dolce simbolo del Natale è il panettone, nato a Milano ed esportato ormai in tutto il mondo, talché lo si può ad esempio acquistare con facilità nelle mitiche Food Halls di Harrod’s a Londra e nel tempio della gastronomia francese, il parigino Fochon. Qualche anno fa è stato addirittura cicisbeo della Sacher Torte, nell’opulenta e luminosissima cornice dell’Hotel Sacher, a due passi dalla cattedrale di santo Stefano, simbolo di Vienna. Ebbene, si stenta a crederlo ma non poche birre di Natale nonché in generale numerose altre strong ale tipicamente invernali evidenziano nettamente i sentori del panettone e degli altri cakes natalizi britannici, basati sull’uvetta sultanina, sui canditi, sulla frutta secca, su note di vaniglia e su delicati fruttati come la prugna e il fico.
Trasferire queste sensazioni olfattive e gustative su una pizza è sicuramente un’impresa titanica, però è altrettanto vero che se non si promuovono innovazioni il ventaglio degli abbinamenti rimarrà cristallizzato per chissà quanto tempo. Innanzitutto bisogna dapprima essere pronti a entrare nella filosofia culinaria fusion, dove la Storia e la Geografia si sposano non seguendo l’antico detto ‘mogli e buoi dei paesi tuoi’. Del resto la pizza, si sa, è stata esportata in tutto il mondo e già alla fine inizio degli anni Cinquanta (per la precisione era il 1958) la canzone ‘Pasqualino Marajà’ interpretata prima da Domenico Modugno e poi da Renato Carosone prefigurava il fatto che Pasqualino avesse insegnato a far la pizza agli Indiani che peraltro l’avevano accettata entusiasticamente, infatti ‘tutta l’India ne va pazza/ solo pizza vuol mangiar’.
Immaginiamo pertanto una pizza dolce, che al posto della frutta fresca proponga frutta secca, non la alteri col pomodoro e al posto dell’olio usi il ghi, il burro chiarificato tipico di alcune cucine orientali. Beh, se proprio non riuscite a trovare il ghi, provateci con fiocchetti di burro, meglio se di arachidi, giusto per un tocco esotico. Se poi volete aggiungere qualche spezia, come per esempio lo zenzero, il pepe, la noce moscata o la cannella, renderete la vostra pizza sempre più misteriosa. Con questo tipo di pizza usate in prevalenza birre natalizie ambrate, in genere piuttosto speziate, di corpo medio-alto (speciali e doppio malto non eccessivamente alcoliche, dai 5,5 ai 7 gradi alcolici in volume.
Per chi vuole sperimentare qualcosa di nuovo ma rimanendo in un ambito più tradizionale, suggeriamo di abbinare birre natalizie tendenti allo scuro con salumi di selvaggina e altri ingredienti che ben si sposino con la carne scura degli animali selvatici. La Pizza Masseria ne è un ottimo esempio. Presente nell’Annuario della Pizza 2010 ha una base Margherita alla quale vanno aggiunti tocchetti di gorgonzola piccante e olive nere. Dopo la cottura vanno aggiunte a raggiera quasi a formare una stella fettine di pancetta di cinghiale.
Una versione più fresca di questa utilizzando però sempre carne di selvaggina è la Pizza Carpaccio di Cervo, che prevede la stesura del disco di pasta, sul quale vanno disposte la mozzarella e i pomodorini prima di infornare. Una volta uscita dal forno la pizza, vi si adagiano fette di prosciutto di cervo, rucola, scaglie di grana, il tutto innaffiato da una citronette di olio, limone, sale e pepe. Una fettina di limone come decorazione aggiungerà ulteriore freschezza al piatto. Questo tipo di pizza lo potete abbinare a una buona stout natalizia ma anche a una bière blanche un po’ più corposa della media (5,5-6 gradi alcolici).
Franco Re
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