L’Italia è da sempre un paese di gran cultura enoica, una cultura che spazia dalla produzione al consumo di vino. È anche un paese dove i locali (bar, winebar, pub, ristoranti) rivestono un grande ruolo nel panorama dei consumi extradomestici.
Se questo è vero, com’è vero, il sillogismo è presto fatto: il vino, in un paese come l’Italia, è fondamentale nell’offerta dei pubblici esercizi. Non basta però un ragionamento logico, occorrono i fatti e i numeri. A dare conferma dell’altissimo valore che ha il vino nel fuoricasa vi sono le analisi fatte da Unicab-Euposia, in occasione dell’ultimo Vinitaly.
Il primo dato che emerge dall’indagine (effettuata su un campione di 670 ristoranti italiani di alto e medio livello e 30 winebar “trendsetter”) è che il menu dei vini è essenziale nell’offerta, giacché i vini hanno un enorme peso sugli incassi: mediamente valgono un quarto del conto (e quindi del fatturato).
La selezione delle etichette della cantina, pertanto, va fatta con criterio. La tendenza degli ultimi tempi è quella di polarizzare la scelta fra vini con buona qualità/prezzo e vini di altissima qualità (mediamente c’è almeno un’etichetta che costa oltre i mille euro). Rispetto a due, tre anni fa, i gestori hanno razionalizzato la cantina, diminuendo da una parte il numero dei vini e mantenendosi, puntando dall’altra, su scelte precise e che potessero distinguere e valorizzare l’offerta. Nella cantina sono sempre presenti vini di gran pregio(91% dei locali), mentre scema il numero delle etichette straniere (con qualche eccezione che vedremo in seguito). Inoltre sono sempre più offerti i vini locali, vini che hanno il pregio di legarsi al territorio e rendere l’offerta originale.
L’opzione di spostarsi verso vini locali e di buona qualità è una inclinazione che ritroviamo parallelamente nel mondo domestico. Secondo Coldiretti, infatti, il consumo familiare di vino si è ridotto complessivamente del 2%, ma è aumentato dell`1,8% l`acquisto di bottiglie di vini a denominazione di origine (Doc/Docg), il cui valore ha raggiunto ormai quello dei vini da tavola (dati Ismea/AcNielsen relativi al 2008). Sembra dunque che, sia sulle tavole di ogni giorno sia fuori casa, il consumatore italiano è maggiormente attento alla qualità del vino.
Come già detto, si prediligono vino italiani e vini autoctoni, mentre diminuiscono le etichette straniere. Questo fenomeno riguarda maggiormente i rosati; dall’indagine sembra quasi assente il “cava” spagnolo. L’unica eccezione è rappresentata dai vini neo-zelandesi e argentini, ormai ordinabili in circa un terzo dei locali italiani.
L’importanza dei vini (per pasteggiare o per l’aperitivo) è dunque un punto di forza nell’offerta che può puntare su un caleidoscopico carnet di etichette accattivanti per un consumatore attento e disposto a spendere per bere bene; tuttavia c’è un fenomeno che fa da contro altare al peso dei vini sugli incassi. L’impatto delle misure anti alcool avrebbe, secondo gli intervistati, portato ad una evidente contrazione dei consumi di vino; per circa la metà dei ristoratori la contrazione dei consumi è elevata, compresa fra il 20 e il 40%. Nascono o si accentuano nuove modalità di consumo: cresce la richiesta del vino al bicchiere, sono richiesti vini più leggeri, c’è almeno un commensale che non beve (o beve poco) per poi poter guidare. Ai comportamenti del consumatore segue ovviamente il comportamento del gestore: sta diventando abitudine nei locali contemplare nell’offerta il vino al bicchiere (dall’80% del 2006 al 90% del 2009).
EUSTO CAZZORLA
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