I numeri, prima di tutto. Il vino starà riscoprendo il web, ma quante sono le cantine che vantano una pagina web viva, attiva e utile per il pubblico internazionale? Più di quante si potrebbe pensare, stando ai dati di un’indagine Besharable presentata proprio nei padiglioni di wine2wine. Secondo la ricerca, svolta su un campione di 3.439 aziende, il 94% delle cantine ha creato un sito internet e inizia ad affacciarsi sui social network: va per la maggiore Facebook (73%), seguito da Twitter (30%) e Instagram (16%). Molto meno stretto, in compenso, il legame con le lingue straniere. Se il 96% delle società sa presentarsi in inglese, la percentuale scende di nove volte tanto quando si parla di rapporti (linguistici) con mercati decisivi come Cina e Russia: appena il 6% delle società comunica in mandarino, neanche il 3 saprebbe muoversi su una pagina in cirillico. E l’e-commerce? Lo strumento sta maturando, con alcuni casi di successo: la piattaforma francese vente-privee ha sfondato il tetto di 3,3 milioni di bottiglie vendute in rete nel 2013 (36 milioni di fatturato), con una percentuale di acquisti via smartphone e tablet che ha raggiunto il 36% solo nell’anno in corso. Un exploit che ha centrato picchi di 600 bottiglie vendute in un’ora e 4.500 in due giorni, con prezzi fino a 700 euro per etichette di champagne.
Come agisce il neuromarketing
La frontiere, comunque, non si esauriscono nella già nota coppia social-commercio elettronico. Anzi. Tra le strategie più incisive emerge il “neuromarketing”, ibrido tra neuoroscienze e pubblicità che stabilisce l’impatto di una campagna sulle emozioni della clientela. Patrizia Marin, chairman della società di comunicazione Marco Polo Experience, ci spiega il doppio vantaggio della strategia: valutare l’efficacia di una promozione, calibrare a seconda dei gusti di una clientela che ama farsi “viziare” dalle aziende. La società, in tandem con i laboratori di neuroscienze dello Iulm di Milano, ha già verificato i risultati di alcuni suoi progetti. «Noi, in fondo, ci facciamo una domanda: quando io spendo cinque milioni di euro per una campagna, voglio sapere se gli strumenti che ho utilizzato (come Facebook o un certo advertising) hanno funzionato. Il miglior sistema che io ho verificato è proprio quello emozionale: cosa ci succede quando vediamo un prodotto, cosa ci spinge a comprarlo» spiega al Sole 24 Ore Marin.
L’esempio del prosecco
Gli esempi si sprecano: un’etichetta efficace rende più “nobile” e appetibile un vino, un testimonial che guarda la bottiglia invoglia all’acquisto più di testimonial concentrato sull’obiettivo, un marchio ben pubblicizzato instilla una sicurezza maggiore in chi effettua l’acquisto su internet... «I risultati tangibili sono due - spiega Marin -. Uno: se io ho un milione di euro e lo uso male, ho perso metà del mio investimento. Non è altro che una pratica di economia nell’impiego delle risorse. Due: soprattutto all’estero le policy sono sul brand è determinante per l’acquisto del prodotto. In mercati dove la conoscenza del vino non è ancora raffinata, molto si gioca sul brand». Marco Polo Experience ha già monitorato campagne negli Stati Uniti, prima di affacciarsi sulla Cina. E proprio il mercato americano sta offrendo l’esempio decisivo di un “neuromarketing” che funziona: il prosecco, le bollicine più ambite dal pubblico americano. «Il prosecco della Marca (Treviso) non era un fenomeno, ma lo è diventato fino a essere una scelta cult. E in futuro, lo specchio potrebbe allargarsi ad altre etichette».
Fonte Il Sole 24 Ore