Nel momento dell’euforia per le esportazioni italiane di vino che prima tengono testa alla crisi internazionale e poi volano, qualcuno pensa che «non si può vivere di solo export». Lo dice a Vinitaly Lamberto Vallarino Gancia, presidente di Federvini, che riflettendo sui numeri ricorda come, negli anni 1980/90, Italia e Francia rappresentassero il 75% delle esportazioni mondiali, mentre ora raggiungano solo il 50%.
«Può e deve essere così», invece per Lorenzo Biscontin, responsabile marketing di Santa Margherita, per il quale sarebbe antistorico nell’era della globalizzazione non pensare a un grande mercato mondiale.
«In vista della 45^ edizione Vinitaly - dice Giovanni Mantovani, direttore generale di Veronafiere – abbiamo aperto il dibattito su cosa pensano di fare i produttori vitivinicoli italiani di fronte al calo dei consumi interni. Un dibattito che culminerà con la presentazione, durante la rassegna, di una specifica ricerca di mercato, commissionata per capire il fenomeno e le strategie possibili da adottare». Il fatto che lo zoccolo duro rappresentato dai consumi interni non dia gli stessi segnali positivi dei mercati internazionali, con una flessione degli acquisti anche nel 2010, deve infatti far riflettere il sistema enologico italiano. Il trend parte da lontano, con i consumi che sono scesi dagli anni ’70 ad oggi da oltre 100 a circa 40 litri pro capite.
Nel confronto sono coinvolti istituzioni di categoria, produttori, comunicatori, operatori della distribuzione e della ristorazione, pubblicitari/esperti di costume, che ogni settimana fino all’inaugurazione del più grande salone mondiale dedicato al vino (7-11 aprile 2011), sul sito www.vinitaly.com risponderanno a tre domande:
Il declino dei consumi nazionali è avvenuto nonostante un deciso miglioramento della qualità del vino prodotto, frutto di un cambiamento di mentalità dei produttori e di forti investimenti nella vigna e in cantina. Questo però non è un fatto di per sé strano, perché, come dice Ermanno Gargiulo, responsabile category di Coop Italia, «in generale, all’aumento della qualità non sempre corrispondono aumenti dei consumi; anzi statisticamente è possibile che avvenga il contrario». Comunque per Gargiulo «l’export può essere un valore aggiunto, importante, ma non il business principale del settore enologico».
Anche per Aldo Cibic, architetto e designer di fama internazionale, è importante dare la giusta chiave di lettura del fenomeno italiano: «L’evoluzione qualitativa del vino corrisponde a un pubblico più esigente che probabilmente non incide sul volume di produzione, ma che premia il salto in avanti fatto in questi anni».
Per Fabio Giavedoni, curatore della Guida Slow Wine di Slow Food, «quello sul mercato interno probabilmente è un problema culturale, che potrebbe essere colmato con un’efficace comunicazione». L’obiettivo dovrebbe essere quello di dare valore alla storia e alla cultura del vino già nelle scuole dell’obbligo, in contrapposizione alle periodiche ondate di proibizionismo basate su convinzioni non sempre ben verificate.
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