Per ciò che concerne nello specifico i frutti tropicali, ciò che si rileva è un consolidamento in termini di consumo che ha generato anche nuove opportunità legate alla creazione di filiere locali. Sul suolo italiano aumentano le coltivazioni di innumerevoli produzioni esotiche di largo consumo e di specialità meno conosciute. Alcuni esempi? Lo zapote nero (ha la forma del cachi e sapore di cioccolato) o sapodilla (molto versatile e con un gusto che ricorda quello della pera).
Ad oggi sono oltre 500 gli ettari piantati con frutti tropicali con un incremento di di 60 volte nel giro di appena cinque anni. La Sicilia si è affermata come la regione pioniera in Italia ad aver diversificato la produzione, stabilendo tra Messina, l’Etna e Acireale, coltivazioni di avocado, mango, frutto della passione, zapote nero, sapodilla e litchi. Protagonisti di questa riconversione i giovani agricoltori che hanno scelto queste coltivazioni spesso recuperando terreni abbandonati. In Calabria, invece, oltre a mango, avocado e frutto della passione, si coltivano melanzana thay, noci macadamia, annona (diffuso lungo le coste si usa per produrre marmellate). Anche il finger lime (o limone caviale) dalla lontana Australia è approdato in Sicilia e nel Lazio.
Secondo una indagine Coldirettri-Ixè, il 61% di italiani sono propensi ad acquistare frutti esotici locali li preferirebbero a quelli stranieri: il 71% si dichiara disposto a pagare di più per avere la garanzia dell’origine nazionale. Le motivazioni? Un maggiore grado freschezza e per una questione di sicurezza alimentare: in italia si riscontra il minor numero di prodotti con residui chimici irregolari (0,8%), quota inferiore di 1,6 volte alla media dell’Unione Europea (1,3%) e 7 volte a quella dei Paesi extracomunitari (5,5%).
Fonte Osservatorio VeganOK