“E’ evidente che il vino italiano non può vivere né di solo export né di solo mercato interno. Con l’attuale altissimo livello di competizione sarebbe un errore mortale non combattere su tutti i fronti”. Massimo Bernetti, presidente di Umani Ronchi sintetizza così le tante opinioni espresse nel dibattito aperto da metà febbraio da Vinitaly (7-11 aprile 2011) sul recupero del mercato interno. Trentacinque le interviste fatte in un mese e mezzo ai principali esponenti della filiera vitivinicola, dalle istituzioni, ai produttori, ai giornalisti di settore, alle associazioni, ai buyer della grande distribuzione, ai creativi che si occupano di immagine del prodotto e di marketing, pubblicate e aperte ai commenti sul sito http://aspettando.vinitaly.com.
L’analisi del mercato interno si concluderà con la presentazione, nel pomeriggio della giornata inaugurale di Vinitaly, della ricerca Vinitaly/Confcommercio “Ma gli italiani amano ancora il vino? Le ragioni del consumo interno”.
L’ultima serie di interviste vede la partecipazione, oltre che di Bernetti, di Federico Castellucci, direttore generale dell’OIV, Giorgio dell’Orefice, giornalista di Agrisole-Il Sole 24 Ore, Andrea Cimenti, amministratore delegato di Acqua Group, attivo nelle indagini di mercato, e di Roberto Masullo, buyer vini e spumanti di Billa Italia.
“L’Italia – dice Castellucci – mantiene la prima posizione mondiale per volume di esportazione con il 20% ed è tra i primi consumatori pro capite con 40,5 litri, ma può sicuramente migliorare”. Visto che per il direttore generale dell’OIV “la qualità del vino italiano non è in discussione”, meglio concentrarsi sulla costruzione di una comunicazione che contrasti le campagne antialcol, che “non distinguendo fra vino e superalcolici – dice Giorgio dell’Orefice – e fissando limiti talmente bassi penalizzano anche chi opta per un consumo moderato”.
Per Castellucci occorre “lavorare in materia di comunicazione soprattutto sui ‘young adults’, la generazione dai 20 anni in su”, ma anche, come suggerisce Andrea Cimenti, proponendo sul mercato italiano la stessa strategia che sta dando risultati all’estero e che pone l’accento sui “valori di territorialità, tradizione e cultura enogastronomica”.
Da considerare, a questo proposito, il trend che si sta registrando nei consumi di alcuni Paesi del Nord Europa, dove a fronte di “limiti antialcol anche più stringenti dei nostri – dice dell’Orefice – i ritmi di crescita sono molto rapidi”.
Sul fronte dell’export, secondo Roberto Masullo “il mercato estero rappresenta indubbiamente un’ottima opportunità di crescita per il settore, che dovrà essere gestita in maniera oculata, mantenendo comunque una solida politica commerciale sul territorio di casa”.
L’appeal del made in Italy enologico, artefice di parte del successo dell’export italiano, non deve però far dimenticare le criticità del commercio internazionale. “Quello che preoccupa – avverte il direttore generale dell’OIV – è la quota, sul mercato mondiale, del vino sfuso, che rappresenta il 40% della produzione e il 10% del valore degli scambi. Sul lungo periodo questo fenomeno potrebbe trascinare il vino a livello di commodity”.
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