Attualità
07 Febbraio 2023Oltre quattro milioni di lavoratori hanno partecipato a corsi di formazione (il 44,6% del totale degli addetti, con lievi differenze tra uomini e donne)
Nel triennio 2018-2020 (che comprende il difficile anno della pandemia) quasi tutte le imprese italiane hanno dichiarato di aver effettuato cambiamenti significativi che, per sette imprese su 10 (e per quasi il 90% di quelle di grandi dimensioni), hanno interessato i processi e le tecnologie dell’informazione e della comunicazione. In particolare, il 43,4% delle imprese riferisce infatti di averlo fatto come risposta alla crisi pandemica.
Le trasformazioni in corso negli ultimi anni hanno avuto impatto anche sul contesto gestionale delle imprese, modificandone i metodi di lavoro e le prassi organizzative (es. team autonomi, telelavoro, organizzazioni orizzontali), interessando due terzi delle imprese, soprattutto per l’emergenza sanitaria (il 60,3% delle imprese la segnala infatti come causa del cambiamento). Inoltre, quasi i due terzi delle imprese hanno ridefinito i propri processi produttivi, riconvertendo la produzione o sviluppando nuovi prodotti o servizi e il 48,8% ha modificato o ampliato i propri canali di vendita o metodi di fornitura/consegna dei prodotti o servizi (es. passaggio ai servizi online, e-commerce e modelli distributivi multi-canale).
In questo quadro di forte evoluzione tecnologica e organizzativa la formazione ha giocato un ruolo fondamentale. Infatti, ha svolto attività formative nel 2020 oltre il 70% delle imprese che hanno innovato i processi e le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (74,3%) e di quelle che hanno cambiato metodi di lavoro e prassi organizzative (73,4%). Per supportare le nuove attività sono stati introdotti strumenti per la formazione a distanza degli addetti circa nella metà delle imprese (due terzi delle quali a causa della crisi pandemica) con valori superiori alla media nazionale in alcune regioni del Sud (Abruzzo 67,0%, Puglia 56,1%) e delle Isole (Sardegna 59,7%). Alcune differenze si osservano in termini di settore di attività. Se i settori delle ICT e dei servizi professionali emergono tra quelli che hanno introdotto i cambiamenti più rilevanti, le imprese attive in alloggio e ristorazione risaltano per aver utilizzato la formazione a supporto delle innovazioni, in percentuale maggiore (85,2%) rispetto ad altri settori.
Nuove tipologie di formazione durante la crisi pandemica
Nel 2020 circa il 70% delle imprese con almeno 10 addetti ha svolto attività formative per il proprio personale, con un'incidenza maggiore (oltre il 95%) in quelle di grandi dimensioni (500 addetti e oltre). Sul territorio, in linea con il passato, hanno fatto formazione soprattutto le imprese situate nel Nord-est (74,5%) e nel Nord-ovest (72,3%). Sotto la media nazionale, ma in aumento rispetto al 2015, le imprese che hanno svolto attività formative nel Centro (65,3% contro 55,5% nel 2015), nel Sud (62,2% e 48,4) e nelle Isole (56,9% e 44,3%). Tra le regioni, sono sopra la media i valori delle imprese di alcune Regioni del Sud (Abruzzo 77,1%; Molise 75,0%, Basilicata 73,4%).
Dal punto di vista settoriale, presentano un’incidenza superiore all’80% le imprese attive nei settori Servizi finanziari e assicurativi (96,4%), Fornitura di elettricità, gas, acqua e gestione rifiuti, Apparecchi meccanici, elettrici, elettronici (83,7%), Costruzioni (82,1%), Telecomunicazioni, editoria, informatica (82,0%). Sotto la media nazionale si pongono i settori dell’Industria della carta, cartone e stampa (54,1%), i Servizi di alloggio e ristorazione (48%) e il settore del Tessile e abbigliamento (47,6%).
La modalità più diffusa per la formazione nelle imprese è ancora quella “tradizionale”, ossia quella di tipo frontale (59,5% delle imprese), ma nel 2020 ha assunto rilevanza l’utilizzo di attività formative diverse dai corsi nella metà delle imprese (con un incremento di 10 punti percentuali rispetto al 2015). Emerge la formazione a distanza, adottata da quasi un terzo delle imprese, ossia di quelle realtà produttive che grazie all’utilizzo del digitale hanno potuto investire sul proprio capitale umano anche durante la crisi pandemica e con l’interruzione delle attività ordinarie.
Nell’ambito delle attività formative utilizzate dalle imprese rientrano anche la formazione in situazione di lavoro, l’affiancamento e rotazione nelle mansioni, la partecipazione a convegni, seminari e workshop (fruibili online durante la pandemia) e la partecipazione a circoli di qualità. Il periodo pandemico ha infatti accresciuto l’utilizzo di momenti di aggiornamento delle proprie conoscenze e competenze attraverso gli strumenti di collaborazione e interazione digitale, da un lato, e, dall’altro, favorito anche il cambiamento in termini di organizzazione del lavoro.
Il settore di attività e la dimensione d’impresa influiscono sul tipo di attività formative realizzato. Ad esempio, ad aver optato per l’utilizzo di strumenti digitali sono in misura maggiore le grandi imprese e, dal punto di vista settoriale, quelle che operano nel settore delle Attività finanziarie e delle Telecomunicazioni, editoria e informatica. Tra gli ostacoli allo svolgimento della formazione le imprese hanno segnalato i costi elevati (8,6%), la mancanza di tempo (8,0%), la mancanza di risorse finanziarie a disposizione (7,1%) e le difficoltà tecniche nell’organizzazione della formazione (7,2%), queste ultime dovute, per un terzo delle imprese, all’insorgere dell’emergenza sanitaria da Covid-19.
Stabile il costo medio per ora di formazione
La spesa complessiva per i costi dei corsi di formazione sale, in termini nominali, del 37,8% rispetto al 2015 (da 4.513 a 6.218 milioni di euro nel 2020). Le singole componenti di costo riguardano: i costi diretti, il costo del lavoro dei partecipanti ai corsi per le ore dedicate alla formazione e il saldo tra i contributi versati per attività formative e finanziamenti ricevuti.
L’incidenza maggiore è rappresentata dal costo del lavoro dei partecipanti ai corsi (che passa dal 58,9% del 2015 al 60,4%). Rimane stazionario l’ammontare dei contributi e diminuiscono i finanziamenti ricevuti dalle imprese (la cui incidenza sul costo totale dei corsi scende dal 7,9% del quinquennio precedente al 4,2%).
In termini relativi, considerando la composizione del costo in rapporto ai partecipanti, aumentano sia il costo diretto, che arriva a 463 euro (da 366 del 2015), sia il costo del lavoro dedicato ai corsi di formazione (da 698 euro del 2015 a 921 del 2020). Diminuiscono i contributi versati dall’impresa per attività formative (da 215 euro per partecipante a 176) e i finanziamenti ricevuti (da 94 euro per partecipante a 64).
Il costo medio per ora di formazione è pari a 56 euro, sostanzialmente uguale, in termini nominali, rispetto al 2015. Il valore del costo si mantiene poco variabile rispetto al settore di attività economica: livelli maggiori di costo riguardano, come nel 2015, il settore dei Servizi finanziari e nell’Industria in senso stretto (rispettivamente con 69 e 61 euro per ora di corso). Valori inferiori alla media, si hanno nel settore delle Costruzioni e in quello delle Attività professionali, artistiche e sportive con un costo medio orario rispettivo di 50 e 48 euro.
Se viene considerata la dimensione aziendale, si nota una tendenza all’aumento del costo orario generalmente proporzionale all’ampliamento della classe di addetti considerata, che passa da 49 euro nelle imprese da 10 a 19 addetti a 59/60 euro in quelle con almeno 500 addetti. Dal punto di vista territoriale, i costi per ora di corso risultano di poco superiori alla media nazionale nelle regioni del Nord e del Centro, intorno ai 60 euro, mentre costi relativamente più bassi si riscontrano nel Mezzogiorno, con circa 42 euro per ora di corso.
Determinante il ruolo delle soft skills per superare la crisi post-pandemica
Un terzo delle imprese dichiara che, nel 2020, una parte dei propri addetti non aveva le competenze adeguate allo svolgimento del proprio lavoro secondo il livello richiesto. Nelle imprese di grandi dimensioni, il deficit di competenze riguarda due terzi delle unità. Tra le competenze da migliorare, quelle tecnico-operative emergono per la loro rilevanza (32,0%) rispetto al settore in cui le imprese operano. A queste si affiancano le competenze trasversali, come la capacità di contribuire al lavoro di gruppo (31,2%) e l’attitudine mirata alla soluzione dei problemi (29,8%), il cui ruolo è divenuto cruciale nella situazione emergenziale del 2020. Oltre alle competenze manageriali e gestionali (23,3%) le soft skills assumono dunque una valenza strategica per affrontare cambiamenti repentini e inaspettati, come quelli che l’emergenza sanitaria da Covid-19 ha portato nel contesto produttivo, e non solo.
Nonostante la pandemia abbia accelerato la transizione digitale, le imprese scontano un deficit in tema di competenze informatiche professionali (26,1%) il cui aggiornamento è necessario per tutte. Rispetto al settore di attività, si osservano valori più alti sulle competenze tecnico-operative richieste nelle imprese nei servizi ICT (45,0%), dell’Industria (circa 43%) e nella Finanza (38,0%), e di quelle sul lavoro di squadra per il raggiungimento di un obiettivo comune in settori molto diversi tra loro come quello di trasporti e magazzinaggio (36,9%) e dei servizi finanziari (35,8%) (Figura 3).
Più di un terzo delle imprese (35,5%) indica inoltre le competenze tecnico-operative, ossia specifiche del lavoro, tra le competenze professionali importanti per lo sviluppo dell’impresa nei prossimi anni (dato in calo ma in continuità con il 2015). Di contro, rispetto alla passata edizione dell’indagine, cresce l’importanza attribuita per il futuro alle competenze informatiche professionali (che passano da 19,4% a 24,1%).
Dopo le competenze tecnico-operative seguono in ordine di rilevanza la capacità nella gestione della clientela (32,0%), le competenze relative al team-working (28,5%) e al problem solving (25,2%), l’abilità nell’autogestire la propria attività lavorativa (18,9%) e la capacità di produrre idee originali (6,9%) rilevate per la prima volta nell’edizione 2020. Le competenze manageriali e gestionali, che sono indicate come importanti per il futuro dell’impresa dal 22,8% in media, lo sono per più del 50% delle grandi imprese con almeno 500 addetti.
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