Attualità
30 Maggio 2022Il covid-19 ha profondamente mutato l'atteggiamento dei consumatori e dei canali di vendita
Un recente workshop organizzato da GS1 Italy in collaborazione con IRI ha analizzato i comportamenti dei consumatori e dei canali di vendita, condizionati prima dalle limitazioni del Covid-19 e poi dalle conseguenze della guerra in Ucraina e dell'inflazione.
«Sono stati due anni caratterizzati da cambi repentini di equilibri» afferma lapidaria Ilaria Archientini, ECR project manager GS1 Italy. «La filiera, i produttori, i distributori, gli operatori logistici si sono dovuti attrezzare per risultare il più possibile resilienti, individuando soluzioni per superare le grandi difficoltà portate dalla pandemia».
Marco Colombo, operation and product management director di IRI, ha sottolineato invece come dal 20 febbraio 2020 le curve delle vendite siano state condizionate dalle «quattro ondate pandemiche e non più, come di consueto, da stagionalità, festività o calendari di altra natura. Finita la morsa dell’emergenza Covid-19, il 24 febbraio 2022 si è aggiunto un altro indicatore negativo: l'invasione russa in Ucraina che ha accelerato una serie di pressioni sulla filiera, portando all'incremento dei prezzi di materie prime e dei prodotti energetici».
Dal 2020 insomma la pandemia ha profondamente mutato le abitudini dei consumatori e ciò, conseguentemente, ha finito col condizionare, anche in modo sensibile, gli andamenti di vendite e i trend del largo consumo. Il lockdown, le limitazioni alla mobilità, gli accessi contingentati ai punti vendita, lo smart working, l'azzeramento dei consumi fuori casa, la crescita (esponenziale) dell'e-commerce (LINK), l'avvio della didattica a distanza: queste le principali caratteristiche del 2020 pandemico, parzialmente mutate l'anno dopo quando si è registrato un primo allentamento delle misure di restrizione.
La spesa infrasettimanale prende il sopravvento
Nel 2020 l'obbligo di restare a casa ha alimentato lo spostamento del baricentro degli acquisti: dal weekend verso i giorni infrasettimanali (71,5%), ridimensionato di 2,7 punti nel 2021 (68,8%). Il sabato rimane sempre il giorno della spesa storica: sopra il 22% nel pre pandemia, sotto il 20% nel 2020, in leggero recupero (20,5%) nel 2021. Nel 2019 la domenica godeva di un 12%, crollato per l'effetto chiusure nel 2020 ma recupera fino al 10,7% nel 2021.
Interessante notare come nel 2021 il venduto di domenica risale di 2 punti, quello del sabato di 0,7 ma restano lontani di 2,3 punti rispetto al 2019. Nel 2021 i giorni infrasettimanali tornano ad una “normalizzazione” delle vendite pur crescendo complessivamente di 1,2% sul 2019. Spostare il baricentro degli acquisti ha comportato la ridefinizione dei calendari promozionali e delle organizzazioni di attività di vendita con hostess e personale specifico ora allocate non più solo nel weekend ma anche nell'infrasettimanale. «Ma - avverte Colombo - occorrerà un altro anno per capire se si tornerà al comportamento pre Covid-19 o si consoliderà l'onda lunga degli acquisti infrasettimanali, favorita dal perdurare dello smart working. Fattore interessante è che la quarta ondata legata ad Omicron ha avuto meno polarizzazioni di consumi giornalieri, come se il consumatore avesse imparato a gestire le criticità e le difficoltà incontrate in precedenza».
Scaffali vuoti, un lontano ricordo
Nel corso del 2021 la profondità assortimentale tende a stabilizzarsi con l'eccezione del discount in crescita e gli specialisti casa e persona in riduzione, mentre nel 2022 inizia per tutti (in particolare superstore, negozi di prossimità e specialisti cura casa e persona) un lento decadimento degli assortimenti. A tal proposito Marco Colombo spiega che «a fine 2020 avevamo constatato come il processo di efficientizzazione della on shelf availability ovvero la disponibilità del prodotto a scaffale, era stato molto penalizzato dalle difficoltà di approvvigionamento della filiera nella prima parte del lockdown e dai fenomeni di accaparramento a marzo-aprile che avevano lasciato out-of-stock numerosi prodotti e categorie». E continua: «Nel 2021 la filiera ha superato positivamente quell'effetto shock e ha proseguito nel suo progressivo processo di efficientizzazione, assestando la percentuale di prodotti out-of-stock sul 3,5%. Il dato è stato migliorato ulteriormente, 3,3%, nel primo trimestre 2022, superando anche la sofferenza legata all'inasprimento del conflitto, nella terza settimana di guerra».
Le vendite perse
Gli indicatori KPI (Key Performance Indicator) di tutti i canali segnalano come la filiera abbia ripreso la tendenza a prestazioni di efficienza, così come anche tutti i reparti del largo consumo hanno ottimizzato il tasso di out-of-stock rispetto all'anno precedente con, a gennaio-marzo 2022, le sole eccezioni del pet care (+0,5) e del cura persona (+0,2). Per quanto riguarda invece il tasso di vendite perse, nel 2021 si attesta al 4,7%, riprendendo il percorso iniziato nel 2016 e confermato da un 4,1% tra gennaio e marzo 2022. Allo stesso modo l'effetto vendite perse, se letto in una logica di serie storica, non ha grosse discontinuità, escluso il primo periodo Covid-19.
«Se confrontiamo - evidenzia ancora Colombo - la relazione tra le vendite perse e l'out-of-stock balza un insegnamento fondamentale per gli operatori: quando si alza il valore medio del carrello, sostanzialmente nei periodi di festività e in quelli in cui il consumatore va ad aumentare il valore unitario per prodotto acquistato, la mancanza di un prodotto a scaffale con valore mediamente più alto in termini di vendite perse incide in misura maggiore».
2022, due fenomeni da tenere sotto osservazione
Nel primo trimestre del 2022 sono calate drasticamente le vendite promozionali in tutti i canali e nel contempo sono cresciute le dinamiche inflattive dei prezzi progressivamente in ascesa. L'anno in corso registra un incremento totale dei prezzi sul carrello (2,8%) e sull'osservatorio (2,9%) che a fine aprile sono schizzati sopra il 4%, complici l'aumento dei prezzi di base, delle materie prime, dell'energia e del costo del trasporto. Un'incidenza che impatta sui prodotti di largo consumo (significativo il caso della pasta di semola con un +17-20%), penalizzati, come sottolineato prima, anche dalla riduzione o in alcuni casi della totale sospensione delle promozioni.
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