Attualità
27 Giugno 2022Durante la sesta edizione del Forum Food & Beverage sono state avanzate proposte per contrastare ed arginare il fenomeno
All'allarme di Coldiretti, lanciato in occasione del Summer Fancy Food 2022 di New York, ora si aggiunge quello di The European House – Ambrosetti e Assocamerestero che hanno scientificamente quantificato il danno economico subìto dal nostro Paese dall'italian sounding.
Se da un lato l'export agroalimentare nostrano infrange e supera la soglia dei 50 miliardi di euro, dall'altro deve fare i conti con l’Italian Sounding che ne dimezza la portata. Il fenomeno dei prodotti alimentari che evocano denominazioni, riferimenti geografici, immagini, combinazioni cromatiche e marchi del Belpaese è un oggettivo danno per lo sviluppo delle esportazioni nazionali.
La questione è stata analizzata pochi giorni fa durante la sesta edizione del Forum “La Roadmap del futuro per il Food&Beverage: quali evoluzioni e quali sfide per i prossimi anni” organizzato da The European House – Ambrosetti. La due giorni di lavori di Bormio è stata l’occasione per presentare la ricerca “Italian Sounding: quanto vale e quali opportunità per le aziende agroalimentari italiane” che ha quantificato l’impatto economico di questo ‘business parallelo’ e suggerito un vademecum di azioni e provvedimenti da adottare per contrastare il fenomeno.
Nel 2021 le vendite all’estero di prodotti ottenuti dalla filiera agroalimentare hanno registrato un giro di affari mai così alto nella storia e pari a 50,1 miliardi di euro, segnando una crescita media nell’ultimo decennio del 5,5% e chiudendo la stagione con un saldo positivo di 3,3 miliardi di euro. Una performance nella quale spicca nelle vendite all’estero di pomodori pelati e di pasta il primato del nostro Paese, che è anche il primo produttore (e secondo esportatore) di vino a livello mondiale.
Nonostante le cifre mai raggiunte prima, emergono fattori di criticità che il nostro sistema deve fronteggiare. Pur contando su un ricco paniere di proposte enogastronomiche, l’Italia si deve accontentare di un quinto posto nel ranking dei Paesi europei esportatori di prodotti agroalimentari, scivolando in sesta posizione tra i 10 top exporter per incidenza delle esportazioni agroalimentari sul totale dell’export nazionale. Tra le criticità alla base di questo ritardo evidenziate da The European House – Ambrosetti e Assocamerestero, la forte dipendenza del nostro Paese da alcune materie prime agricole e un contesto imprenditoriale caratterizzato da una elevata frammentazione di piccole aziende, che oggi sono il 92,8% del totale e generano solo il 13,2% dei ricavi globali.
Il fenomeno dell’Italian Sounding è il fattore che indebolisce fortemente il posizionamento estero dei prodotti italiani. Per indicarne la reale ricaduta in termini economici, per la prima volta The European House Ambrosetti e Assocamerestero hanno elaborato un modello scientifico per quantificare il valore dell'Italian Sounding. Partendo da una survey che ha coinvolto oltre 250 retailer internazionali di 10 Paesi diversi in cui c’è una maggiore diffusione a scaffale di falsi prodotti italiani, sono state poste sotto la lente le 11 referenze più colpite del Made in Italy agroalimentare. La survey ha adottato una metodologia basata su due coefficienti: uno in grado di calcolare la presenza sugli scaffali dei supermercati di prodotti del vero italiano, l’altro, di scontare l’effetto prezzo, vale a dire depurare il risultato dalla quota di consumatori che scelgono referenze non autentiche italiane attirati dalla convenienza.
L’italian fake food in posizione dominante
Lo studio ha innanzitutto mostrato come in alcuni Paesi la quota di referenze Italian Sounding sia più marcata. È il caso, in primis, del Giappone (70,9%), seguito a brevissima distanza da Brasile (70,5%), mentre in Europa il dato maggiore è stato riscontrato in Germania (67,9%). A livello di prodotto, i più ‘imitati’ sono ragù (61,4%), parmigiano (61,0%) e aceto balsamico (60,5%).
Se si addiziona quindi il valore di Italian Sounding su tutti i prodotti alimentari monitorati dalla survey nei 10 Paesi, si stima un fatturato di 10,4 miliardi di euro, il 58% in più rispetto a quanto generano complessivamente gli stessi 11 prodotti ‘veramente’ italiani. Partendo da questi risultati e correlandoli con il valore dell’export di tali referenze, si ottiene un moltiplicatore dell’Italian Sounding pari a 1,58 che, applicato su larga scala internazionale, fa emergere come questo fenomeno da solo possa giungere a valere 79,2 miliardi di euro. Sommando, quindi, questa cifra al dato effettivo delle esportazioni, l’Italia idealmente incasserebbe dal commercio oltreconfine dei suoi prodotti agroalimentari ben 129,3 miliardi di euro.
Più che la certificazione, conta lo scontrino in cassa. La ricerca evidenzia come in 3 casi su 10 il consumatore straniero si orienta su una tipicità gastronomica italiana quando questa prevede una spesa più bassa, piuttosto che porre come prioritaria la reale garanzia di provenienza territoriale del prodotto acquistato. Seguendo questa logica, il fenomeno dell’Italian Sounding ammonterebbe a 6,8 miliardi di euro nel cluster dei dieci Paesi di riferimento sugli 11 prodotti analizzati, ovvero il 3% in più rispetto al valore concreto dell’export italiano, da cui si ottiene un moltiplicatore di 1,03. Riparametrando il modello sull’intero valore dell’export agroalimentare nel mondo e depurando l’Italian Sounding da tale effetto prezzo, si arriverebbe a quantificare il fenomeno per un valore di 51,6 miliardi di euro che, sommato al dato reale di export, permetterebbe all’Italia di generare all’estero con i suoi prodotti un giro di affari doppio e superiore ai 100 miliardi di euro.
Il Manifesto per il contrasto all’Italian Sounding
The European House – Ambrosetti e Assocamerestero, insieme alla rete di Camere di Commercio Italiane all’Estero, hanno voluto fornire possibili strumenti e azioni per cercare di superare questa criticità o quanto meno ridurne l’impatto.
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